Quelle sul finanziamento della sanità pubblica sono le polemiche più disoneste che avvelenano la correttezza del dibattito politico. Nella passata legislatura quasi tutte le forze politiche presenti in Parlamento – che prima o poi finirono a fare parte di una qualche maggioranza di quelle che si sono avvicendate in un trionfo del trasformismo (salvo il M5S che è sempre rimasto in una maggioranza qualunque essa fosse) hanno assunto posizioni politiche che hanno contribuito – per omissione o per commissione, per protagonismo o per ignavia – a rifiutare il Mes sanitario, che avrebbe comportato un contributo di 37 miliardi concentrati tutti sulla sanità. In nome del rifiuto del rischio che sull’operazione si affermasse il controllo della mitica triade, una maggioranza di fatto del tutto atipica (Fratelli d’Italia, Lega e M5S) ma in grado di interdire ogni possibile maggioranza ha impedito che non solo il Conte 2, ma anche il governo Draghi, malgrado la serietà su tanti temi, non aderisse – per i condizionamenti di forze incluse nella maggioranza di unità nazionale, a una operazione che avrebbe portato risorse di grande entità alla sanità italiana, gravemente debilitata da una pandemia scaricata tutta sulle strutture ospedaliere. Certo, in questi casi ce la si può cavare con l’affermazione classica del ‘’non si fa politica guardando indietro’’.
Ma qualche critica più puntuale non sarebbe fuori posto. Come qualche autocritica. Per esempio, Fratelli d’Italia, dall’opposizione, svolse un ruolo nel rifiutare l’adesione al MES sanitario molto più colpevole di quello a cui è stata costretta, al governo, a stabilire finanziamenti inadeguati nella manovra di bilancio. Conte – che oggi denuncia il possibile disastro a cui va incontro la sanità pubblica a cui sono destinate risorse gravemente inadeguate – quando era presidente del consiglio del suo secondo governo (nella stessa posizione del deretano con la camicia del Pd) dichiarava in un’intervista al Corriere della sera: ‘’Il fondo salva Stati è un prestito. Se chiedo in banca 37 miliardi poi li devo restituire”. Poi, tutto in un fiato aggiungeva: ‘’ il Mes non è il mio obiettivo anche per una questione di consistenza, al di là delle condizionalità e delle sensibilità politiche interne. Non è una soluzione”.
Roberto Speranza, ministro della Salute dal 2019 al 2022 in due governi diversi, sosteneva la necessità di un piano di almeno 20 miliardi qualunque fosse la provenienza di tali risorse; ma non riuscì a superare i veti politici sul Mes (quelle che Conte aveva definito ‘’sensibilità politiche interne’’). Elly Schlein ha fatto delle risorse insufficienti per la sanità pubblica una dei principali argomenti della critica al ddl bilancio 2025. In effetti il Pd era favorevole al Mes, ma come in tanti altri aspetti politici, il partito fu disposto a pagare un prezzo salato per la costituzione del Conte 2, non solo sul Mes ma su tante altre materie (si pensi soltanto alla vicenda del blocco delle trivellazioni a pochi mesi dalla crisi energetica).
Che si trattasse di un prestito condizionato a finanziare le spese sanitarie dirette o indirette (e quindi anche i contratti di lavoro) a ristoro dello tsumani del contagio, lo sapevano anche i sassi. La questione da affrontare e, se possibile, risolvere era un altra. Dove mai l’Italia avrebbe potuto trovare un prestito di 37 miliardi ad un tasso dello 0,1%? Mentre la discussione era in corso il Tesoro raccolse 22,3 miliardi di Btp Italia 2025 (14 miliardi acquistati dai piccoli risparmiatori, 8 miliardi dagli investitori istituzionali) a scadenza quinquennale (la stessa del Mes sanitario): un’operazione, condotta a termine in un periodo da quattro giorni e salutata come la conferma di diffusa fiducia nelle prospettive del nostro Paese.
Ma a quali condizioni? Un tasso reale dell’1,40% lordo/annuo (a cui ogni sei mesi sarebbe stata aggiunta l’inflazione,) e da un premio fedeltà doppio rispetto al passato (pari all’8 per mille). Gli italiani non si erano dunque decisi a sottoscrivere quei titoli per patriottismo, ma aderendo ad una proposta di evidente convenienza, dal momento che, basta fare una banale operazione aritmetica per scoprire di quante volte 1,4 è multiplo di 0,1. Certo gli oppositori del Mes sanitario facevano notare che anche altri Paesi (in pratica la maggioranza della Ue) avevano marcato visita. Il fatto era che questi paesi – come la Francia e la Germania – in quegli anni riuscivano a far sottoscrivere i loro titoli anche con tassi negativi; per loro, quindi, anche lo 0,1% faceva la differenza. I pentastellati, allora il gruppo più numeroso, dopo le elezioni funeste del 2018, preferirono andare sui mercati finanziari e pagare tassi di interessi più elevati per finanziare un settore che era stato messo a dura prova dal virus malefico e dalle misure di contenimento.
Conte addirittura ne faceva anche una questione di consistenza dimenticando parecchi argomenti che ci spronavano – come disse Romano Prodi – ‘’a non fare sciocchezze’’ e ad intascare al più presto possibile quei 37 miliardi che, per stare ai confronti, corrispondevano a una manovra finanziaria e a più di un terzo del finanziamento annuo del FSN. Ma non bastano queste considerazioni quando si lamenta l’inadeguatezza delle risorse facendo riferimento a percentuali cervellotiche sul Pil secondo la logica dei numeri al lotto.
Negli ultimi anni i governi hanno pensato bene di tagliare l’Irap, un’imposta regionale che concorreva (per una quota tra il 40 e il 50% del totale, a seconda delle regioni) a finanziare la sanità. Compensare – anche se in parte – il venir meno di queste risorse, attraverso il Mes (ovvero mediante un fondo che chiedeva interessi assai più bassi di quelli di mercato) piuttosto che prelevarle dai bilanci delle aziende, sarebbe stato un toccasana per la salute dell’economia, delle finanze pubbliche e delle famiglie italiane e residenti.