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Marco Biagi

Vi racconto il riformista Marco Biagi

Il 19 marzo del 2002 – esattamente 19 anni or sono – Marco Biagi veniva assassinato da un commando brigatista. Il ricordo firmato da Giuliano Cazzola

Il 19 marzo del 2002 – esattamente 19 anni or sono –  Marco Biagi veniva assassinato da un commando brigatista. Era arrivato sotto casa, in via Valdonica, sulla bicicletta che aveva inforcato alla stazione di Bologna provenendo da Modena dove insegnava e dove aveva fondato quella scuola che ora è un vanto della cultura giuslavoristica italiana ed internazionale.

Chi era Marco Biagi? La migliore descrizione del pensiero e dell’opera del marito l’ha fornita Marina Orlandi, colei che tiene viva la memoria di Marco alla guida della Fondazione a lui dedicata: “Proprio nei giorni in cui è stato ucciso ricordo che Marco mi parlava di una cosa che riguarda i ragazzi. Era consapevole che la società si stava trasformando e che un lavoro per tutta la vita, lo stesso a tempo indeterminato, sarebbe stata una cosa praticamente impossibile, sarebbe arrivata tardi nella vita delle persone. Aveva in mente che bisogna difendere i lavori brevi. Purtroppo ci sarà questa precarietà, diceva Marco, però dobbiamo renderla una precarietà protetta, fare in modo che le persone che non hanno un lavoro protetto abbiano anche dei diritti, siano protette, che una persona non trovi solo un lavoro in nero”.

Sta  proprio in queste parole la novità del contributo di Biagi: nel rifiuto di considerare deviazioni, violazioni di un ordine superiore, quei rapporti di lavoro non riconducibili ad un contratto a tempo indeterminato, con annessi e connessi sul piano delle tutele. Per tale convinzione incontrò quelle ostilità che ne fecero un simbolo, un ‘’uomo da bruciare’’ perché voleva regolare – anche sul piano dei diritti  – quei rapporti  non standard che, nel pensiero della sinistra politica e sindacale (solo quella di allora?), dovevano soltanto essere vituperati, condannati, interdetti ed aboliti, perché erano  considerati un cedimento ai padroni  e non un’esigenza di un mercato del lavoro che pretendeva flessibilità in entrata (attraverso nuove regole) ed in uscita (superando il dogma dell’articolo 18 dello Statuto).

Marco ed io ci eravamo conosciuti, nel 1974, attraverso Federico Mancini, il nostro comune Maestro. Poi, negli anni immediatamente successivi eravamo diventati amici (lo siamo rimasti fino alla sua scomparsa). Poche settimane prima che venisse assassinato Marco mi telefonò, a Roma, dal  Dicastero del Lavoro (era consulente del ministro Roberto Maroni e stretto collaboratore dell’allora sottosegretario Maurizio Sacconi) per chiedermi se avessi l’ultimo libro di Tiziano Treu e se fossi disposto a fornirglielo subito. Allora mi stavo recando al lavoro all’Inpdap (ero componente del Collegio dei sindaci e in quei tempi civili disponevo di un auto di servizio). Risalii in casa da cui ero appena disceso quando mi era arrivata la telefonata, presi il libro ed effettuai la consegna. A Marco quel testo serviva per inserire – parola per parola –  nel disegno di legge di riforma del mercato del lavoro (che poi, dopo la sua morte, ne prese il nome) le proposte che vi erano contenute a proposito del superamento – in via sperimentale – dell’articolo 18 in taluni casi ben delimitati. Il seguito della vicenda è noto.

Iniziò un grande conflitto con la Cgil che portò allo stralcio della norma ‘’infetta’’. Per affrontare nuovamente il tema cruciale della tutela del licenziamento individuale ingiustificato il Paese ha dovuto attendere una decina di anni prima che fosse approvata la legge Fornero n.92/2012 per arrivare nel 2015 al dlgs n.23  (istitutivo del contratto a tempo indeterminato a tutele crescenti) nel quadro complessivo del jobs act. Perché ho voluto ricordare quel colloquio tra due amici  che avevano tante cose in comune? Per rendere una testimonianza di quanto sia difficile, nel nostro Paese, cambiare le cose quando esse si ossificano in un’ideologia. L’aver messo in discussione un modello del diritto del lavoro nel Libro Bianco e intrapreso la ricerca sperimentale di strumenti più flessibili in entrata e in uscita dal rapporto di lavoro costarono a Marco la vita, il futuro e gli affetti che gli erano più cari.

Negli ultimi mesi di vita sentiva la presenza degli “avversi numi’’, i segni di una ostilità che a Marco sembrava assurda ma che gli veniva espressa anche da colleghi che conosceva da anni. Una ostilità che contribuì ad armare le mani dei suoi assassini.

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