Eravamo già convinti che la qualità del dibattito sulla legge di bilancio 2026 avesse toccato il fondo. Da oggi annunciamo che è cominciata anche la trivellazione.
Dopo alcune settimane in cui si è parlato di cose che non esistono, come il governo “che taglia le tasse ai ricchi” (falso) perché lo dice pure Bankitalia (falso) e l’Istat (falso), da ieri è la volta del “governo che tassa l’oro”.
In un surreale inseguimento tra farsa e tragedia, è bastato un emendamento depositato, tra le migliaia che finiranno al macero, che prevede un’imposta sostitutiva del 13% sulle plusvalenze realizzate da privati in occasione della cessione di lingotti e monete d’oro, per fare partire la solita indecente gazzarra.
Che prontamente – tanto è noto l’orientamento anti-Meloni di quel giornale – ha trovato spazio addirittura sulla prima pagina del Financial Times.
Ma di cosa stiamo parlando? Quando un privato vende oro da investimento (lingotti, monete d’oro) sconta un’imposta sostitutiva del 26% sulla plusvalenza realizzata, da inserire in dichiarazione. Nel caso di assenza della documentazione d’acquisto, l’intero provento della vendita viene tassato al 26%. Non sono soggetti a tassazione le cessioni di gioielli, oreficeria, oggetti preziosi.
L’emendamento prevede la facoltà, ripeto: la facoltà, di applicare da subito un’imposta sostitutiva del 12,5% (o 13% in un altro emendamento) su un nuovo valore rivalutato del bene, in modo che al momento della cessione la plusvalenza sia modesta e quindi si eviti la tassazione al 26%.
Norme di questo tipo esistono per terreni e partecipazioni societarie da circa 25 anni e nessuno si è mai scandalizzato.
Il punto critico è il gettito previsto (1,7-2 miliardi) che, data l’assoluta novità del bene coinvolto, è una cifra altamente aleatoria. Altra criticità è quella delle modalità di applicazione, perché si tratta di beni mobili non registrati, facilmente “sfuggenti”.
Tutto qua. Restiamo in attesa del nuovo fuoco di paglia.






