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Vaticano, i conti in tasca all’Apsa

Tutti i numeri del bilancio dell'Amministrazione del Patrimonio della Sede Apostolica (Apsa). L'articolo Andrea Gagliarducci

Era nata come “La Speciale”, e serviva a gestire il patrimonio che si era creato con le compensazioni che la Santa Sede aveva avuto con la Conciliazione. Nel 1967, Paolo VI la aveva riorganizzata, dandole il nome di Amministrazione del Patrimonio della Sede Apostolica, APSA. Oggi, con le riforme economiche vaticane, ha assunto un po’ il ruolo della “banca centrale”, un po’ quello del fondo sovrano di investimenti, dove sono confluiti anche tutti i contributi di amministrazione della Segreteria di Stato. È l’evoluzione dell’APSA, che lo scorso 10 agosto ha presentato per il terzo anno consecutivo il suo bilancio, mettendo a nudo costi di gestione (aumentati di 3 milioni), utili (diminuiti), numero di immobili e una serie di dati e programmi per i prossimi tre anni.

Il bilancio è stato pubblicato il 10 agosto, senza conferenza stampa, senza spiegazioni, senza nemmeno intervista istituzionale al presidente, il vescovo Nunzio Galantino, che tra l’altro quest’anno ha terminato i primi cinque anni di mandato. Generalmente, agosto era anche il tempo della presentazione del bilancio della Curia, ma questo non è stato pubblicato, forse risentendo anche del cambio al vertice, con la promozione di Maximino Caballero Ledo a presidente dopo che padre Antonio Guerrero Alves aveva lasciato per ragioni di salute.

I NUMERI

Cosa dice il bilancio APSA? Lo scorso anno le attività immobiliari sono cresciute di 32 milioni di euro, ed è anche frutto della messa a reddito di alcuni immobili sfitti, ma anche della ripresa delle attività dopo il COVID – l’APSA aveva infatti cancellato una parte dei canoni di affitto, variabile tra il 30% ed il 50% a seconda dell’attività svolta, e deciso che un altro terzo del canone sarebbe stato pagato alla fine dell’emergenza.

Dall’altra parte, le attività mobiliari hanno subito un risultato negativo di 6,7 milioni: nel 2021 era in attivo di 19,85 milioni, e dunque la differenza è di circa 26,55 milioni. La scelta, si spiega nel bilancio, è stata quella di privilegiare investimenti prudenziali, con basso reddito, senza rischi, in un mercato comunque difficile come quello che ci si trova ad affrontare per via della guerra in Ucraina.

Comunque, ci si trova con un attivo di 52,2 milioni, con una crescita di 31,4 milioni del 2021.

GLI IMMOBILI

L’APSA possiede e gestisce diversi immobili. Sono 4.072 in Italia, che coprono una superficie commerciale di circa 1,47 milioni di metri quadri. Di queste unità, 2.734 sono dell’APSA e 1.338 di altri enti. Tra le unità dell’APSA, 1.389 sono ad uso residenziale, 375 ad uso commerciale 717 sono pertinenze e 253 sono quelle a redditività ridotta. Quanto al tipo di reddito che se ne ricava, 1887 unità sono sul libero mercato, 1.208 a canone agevolato e 977 a canone nullo. Per l’anno d’imposta 2022, l’APSA ha versato all’erario italiano 6,05 milioni di euro per l’IMU e 2,91 milioni di per l’IRES.

Il 92 per cento degli immobili in Italia sono nella provincia di Roma, il 2 per cento nelle province di Viterbo, Rieti e Frosinone, il 2 per cento a Padova (la Basilica del Santo), il 2 per cento ad Assisi e poi un 2 per cento distribuito in altre 25 province italiane. A Roma, la maggior parte degli immobili si trovano vicino lo Stato di Città del Vaticano, il 64 per cento delle superfici si trova nei rioni centrali, il 19 per cento nei quartieri limitrofi e il 17 per cento nei quartieri periferici.

Un dato da notare è che le spese di gestione sono passate da 10 milioni a 13 milioni, su cui pesano probabilmente anche alcune consulenze.

Interessante il dato che riguarda le nunziature. In effetti, uno dei primi compiti che si diede Pio XI con il denaro arrivato con la Conciliazione fu di costruire lo Stato di Città del Vaticano, ma anche di mettere a posto le nunziature, che erano ormai decadenti. La politica della Santa Sede è stata poi quella di acquistare immobili nelle località dove ci sono nunziature, con spese di gestione alte, ma con la sicurezza di dare al nunzio una casa sicura. I dati, si spiega nel bilancio, sono difficili da incrociare, perché sono in varie lingue, e con contratti diversi a seconda del Paese. Rientrano nella gestione APSA, però, 37 nunziature in Europa, 34 in Asia, 51 in Africa, 5 in America Settentrionale, 46 in America Meridionale e 3 in Oceania.

IL CONTRIBUTO ALLA CURIA

Lo scorso anno, l’APSA ha contribuito al fabbisogno della Curia romana con 32,7 milioni di euro. Il contributo non è una novità. Anzi, fino al dicembre 2020 l’APSA determinava la quota di utili da destinare alla Curia sommando i risultati di tre segmenti di gestione, che davano un apporto minimo garantito di 20 milioni e poi un 30 per cento in più dell’eventuale residuo positivo. Il dato testimonia che da sempre il “bilancio di missione” della Curia romana viene aiutato da contributi degli utili degli altri dicasteri, e in effetti quando veniva pubblicato il bilancio del Governatorato si notava che gli utili dello Stato aiutavano a mettere in pareggio il bilancio della Curia. Al bilancio della Curia ha sempre contribuito anche lo IOR, anche se i 50 milioni di contributo del 2012 sono ormai un lontano ricordo, considerando anche la fluttuazione degli utili che non sono mai tornati ai livelli precedenti.

Anche per questo, probabilmente, nel 2022 l’APSA ha erogato un contributo alla Curia magiore rispetto a quello calcolato secondo la metodologia degli esercizi precedenti, e – si leggen nel bilancio – “il contributo erogato relativamente al bilancio chiuso al 31 dicembre 2022, oltre alla applicazione del consueto metodo di calcolo sopra esposto, è stato determinato aggiungendo una quota ulteriore, di carattere straordinario, per oltre 8,5 milioni di euro”.

LA STORIA E GLI OBIETTIVI DELL’APSA

Le cifre, ovviamente, aiutano. Ma quello che è davvero interessante del rapporto è il modo in cui viene delineata la storia dell’amministrazione, e soprattutto la caratteristica degli investimenti. “Dal momento che – si legge nel rapporto – come si è detto, gli immobili in prossimità del Vaticano rappresentavano – e rappresentano ancora oggi – una parte bloccata del patrimonio della Santa Sede, da subito, l’obiettivo di consolidare il patrimonio venne affidato agli investimenti immobiliari in Italia e all’estero”.

 

Articolo pubblicato su acistampa.it

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