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Tutte le cause economiche della crisi Usa-Venezuela

Le tensioni tra Stati Uniti e Venezuela affondano le radici in dinamiche economiche profonde, legate alle immense riserve petrolifere del paese sudamericano. Fatti, dettagli e contesto.

Le crescenti tensioni tra Stati Uniti e Venezuela, alimentate da un’escalation militare americana nel Mar dei Caraibi, rischiano di precipitare in un conflitto aperto.

Trump ha minimizzato la possibilità di una guerra, ma ha lasciato intendere che i giorni del presidente Nicolás Maduro come leader sono contati, mentre la Casa Bianca accumula navi da guerra, portaerei e basi riattivate per presunte operazioni antidroga.

Almeno 64 persone sono morte in 15 attacchi aerei su imbarcazioni sospette, scatenando accuse di esecuzioni extragiudiziali e reazioni indignate da Caracas, che vede nell’azione Usa un pretesto per il cambio di regime.

Le dichiarazioni di Trump

In un’intervista rilasciata ieri alla trasmissione della CBS “60 Minutes”, Trump ha escluso esplicitamente la prospettiva di una guerra con il Venezuela, rispondendo con un secco “ne dubito” a domande su un possibile intervento armato.

Come riporta il New York Times, il presidente ha tuttavia avvertito che “i giorni di Maduro come presidente sono contati”, confermando di aver autorizzato la CIA a condurre operazioni coperte nel paese sudamericano. “Penso di sì”, ha aggiunto, lasciando intravedere un piano per destituire l’autorità autoritaria di Caracas.

Queste parole ambivalenti, come scrive la BBC, giungono in un contesto di crescenti operazioni militari Usa, con Trump che ha giustificato gli attacchi come una lotta contro il narcotraffico che “distrugge famiglie in tutto il nostro paese”. Eppure, interrogato su possibili attacchi terrestri, ha replicato: “Non riferisco ad un reporter se sto per colpire o no”.

Il Guardian sottolinea come queste dichiarazioni contrastanti – da un lato minimizzare il rischio di guerra, dall’altro annunciare la fine imminente di Maduro – stiano alimentando speculazioni su un’escalation controllata, con l’accumulazione di asset militari nel Caraibi come strumento di pressione psicologica.

Basi riattivate e flotta in allerta

Le tensioni hanno raggiunto un picco con un massiccio dispiegamento militare americano nel Caraibi meridionale, il più grande non legato a soccorsi umanitari dal 1994.

Come rivela un’inchiesta visiva di Reuters, l’esercito Usa sta riattivando la ex base navale di Roosevelt Roads a Puerto Rico, abbandonata dal 2004, con lavori di pavimentazione di piste per jet da combattimento e installazione di torri di controllo mobile e depositi di munizioni.

Esperti intervistati dall’agenzia di stampa, come Christopher Hernandez-Roy del Center for Strategic and International Studies(CSIS), ritengono che queste mosse siano “progettate per spaventare il regime di Maduro e i suoi generali”, creando crepe nel loro fronte unito.

Parallelamente, come conferma il Miami Herald, otto navi da guerra, inclusi cacciatorpediniere come l’USS Gravely, una portaerei nucleare e sommergibili, sono stati schierati dalla fine di agosto, con voli di B-52 e F-35 al largo delle coste venezuelane.

Reuters ha tracciato invece almeno 13 navi da guerra, cinque vascelli di supporto e decine di voli cargo C-17 per rifornimenti, mentre The Hill riporta che l’amministrazione Trump ha identificato obiettivi terrestri come porti e aeroporti usati per il traffico di droga, preparando il terreno per “colpi aerei che mandino un messaggio chiaro a Maduro: è ora di dimettersi”.

La Casa Bianca, contattata da Reuters, ha difeso l’operazione come “un’azione senza precedenti contro il narcoterrorismo”, ma fonti anonime ammettono che si tratta di una strategia più ampia per destituire il leader venezuelano.

Gli attacchi alle imbarcazioni

Al centro delle tensioni c’è una serie di 15 attacchi aerei contro imbarcazioni sospettate di contrabbando di droga nel Caraibi e nel Pacifico orientale, che hanno causato almeno 64 morti dal primo settembre.

Come scrive il Guardian, questi colpi – l’ultimo sabato – hanno provocato critiche feroci dai governi regionali, con Caracas che li definisce un “pretesto per imporre un cambio di regime e impadronirsi del nostro petrolio”.

Il New York Times cita esperti legali che li bollano come “uccisioni extragiudiziali illegali”, mentre il Miami Herald precisa che 61 presunti trafficanti sono stati uccisi, inclusi attacchi su barchini veloci venezuelani legati al Cartel de los Soles, un network criminale infiltrato nelle forze armate di Maduro.

The Hill nota che le prove fornite da Washington per legare queste navi al narcotraffico sono “scarse”, e la BBC riporta che Trump ha legato l’operazione alla gang Tren de Aragua, definendola “la più violenta al mondo”, usandola per giustificare una “guerra contro chi entra illegalmente negli Usa”.

Reazioni dal Venezuela

Caracas ha reagito con furia all’escalation, con Maduro che, nel suo programma TV settimanale, ha accusato Trinidad e Tobago di agire come “portaerei dell’impero Usa” per aver ospitato l’USS Gravely, sospendendo accordi energetici decennali, come riporta l’Associated Press.

La vicepresidentessa Delcy Rodríguez ha definito la mossa “provocatoria”, mentre il primo ministro di Trinidad, KamlaPersad-Bissessar, ha minimizzato, affermando che le esercitazionicongiuntiesono “per la sicurezza interna” e che “il nostro futuro non dipende dal Venezuela”.

Il Miami Herald descrive come Maduro abbia minacciato ritorsioni contro Trinidad se aiuterà Washington, e come la Milizia Nazionale Bolivariana stia addestrando civili per difendere il territorio.

Come scrive The Hill, il leader venezuelano ha cercato supporto da Cina, Russia e Iran per rafforzare le difese. Maduro ha mobilitato oltre 4 milioni di miliziani, promettendo di difendere “ogni pollice” del suolo nazionale.

Le ragioni economiche delle tensioni

Le tensioni Usa-Venezuela affondano le radici in dinamiche economiche profonde, dove il controllo delle immense riserve petrolifere del paese sudamericano – le più grandi al mondo – si intreccia con sanzioni punitive e una crisi interna devastante.

L’amministrazione Trump ha respinto un’offerta di Maduro per aprire tutti i progetti petroliferi e auriferi esistenti e futuri a compagnie americane, invertire le esportazioni verso la Cina e ridurre i contratti con Iran e Russia, preferendo mantenere la pressione per un cambio di regime.

Questa mossa confermerebbe, secondo alcuni analisti citati dal Nyt, che dietro le tensioni militari c’è, ancora una volta, il petrolio venezuelano, con Washington che vede in Maduro un ostacolo al riorientamento delle risorse verso gli Usa, specialmente in un contesto di prezzi globali volatili.

Le sanzioni americane, inasprite dal 2017 e dal ritorno di Trump, hanno devastato l’economia venezuelana, colpendo il settore petrolifero – che rappresenta il 95% delle esportazioni – e causando una contrazione del PIL del 75%.

Di conseguenza, la produzione petrolifera è crollata da 3 milioni di barili al giorno nel 2008 a meno di 800.000 nel 2025, aggravando la dipendenza da alleati come Pechino e Mosca.

Internamente, i venezuelani sono più preoccupati per la crisi economica che per le navi Usa: l’inflazione, prevista al 270% nel 2025 dal FMI e oltre il 680% nel 2026, ha svalutato il bolivar del 71% da gennaio, con il dollaro parallelo a 310 contro i 217 ufficiali.

L’economista Jesús Palacios dell’Università Cattolica AndrésBello sottolinea come le tensioni alimentino l’iperinflazione, spingendo alla dollarizzazione informale e all’emigrazione di massa.

Implicazioni regionali

Le ripercussioni si estendono all’intera America Latina, con l’ONU che, come riportato dal Miami Herald, ha definito gli strike “illegali e da indagare”.

Il Guardian nota critiche da Colombia e altri Paesi della regione, mentre The Hill evidenzia divisioni interne al movimento MAGA: figure come Steve Bannon e Tucker Carlson criticano l’interventismo come tradimento dell'”America First”, contro i falchi come il segretario di Stato Marco Rubio, che spinge per un approccio aggressivo legando Maduro a Cuba, Russia e Cina.

La situazione resta tesa: Trump potrebbe limitarsi al tintinnio di sciabola, ma fonti del Miami Herald indicano che attacchi aerei su installazioni militari potrebbero partire “in giorni o ore”.

Con 10.000 truppe Usa in zona e Maduro che mobilita milizie, il rischio di un’escalation involontaria è alto.

Solo un negoziato, forse mediato da oppositori come María Corina Machado – vincitrice del Nobel per la Pace 2025 – potrebbe evitare il baratro, ma le offerte economiche respinte suggeriscono che Washington punti al “tutto o niente”.

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