Nelle ultime settimane, la (lieve) moderazione osservata in alcuni dati macro e fattori di rischio quali le banche regionali negli Stati Uniti, il tetto del debito, la guerra in Ucraina, hanno portato il mercato a scontare uno scenario per l’economia statunitense caratterizzato da tre elementi fondamentali. Il primo, una recessione più o meno immediata, anche se probabilmente lieve; il secondo, una moderazione relativamente rapida dell’inflazione; il terzo, coerente con i due precedenti, una Federal Reserve costretta a iniziare a ridurre i tassi di interesse ben prima della fine dell’anno.
Questa narrazione non ci trova del tutto allineati. In primo luogo, perché riteniamo che la domanda aggregata negli Stati Uniti e nell’Eurozona goda di ottima salute e che ciò implichi che le politiche monetarie dovranno rimanere rigide molto più a lungo di quanto attualmente scontato. In particolare, non vediamo tagli dei tassi quest’anno né negli Stati Uniti né in Europa e pensiamo anche che la Bce dovrà aumentarli almeno un’altra volta o due nelle prossime riunioni.
In secondo luogo, perché continuiamo a vedere segnali di un’apprezzabile ripresa dell’economia cinese nel corso dell’intero anno e riteniamo che questo, unito a un’Asia emergente in generale molto positiva, fornirà un ulteriore significativo sostegno alla domanda aggregata globale nei prossimi trimestri.
Inoltre, in una prospettiva di medio termine, riteniamo che, una volta terminato l’attuale periodo di alta inflazione e una volta che le politiche monetarie si saranno allontanate dall’inasprimento, il mondo in cui vivremo non sarà quello dei tassi zero e delle pressioni deflazionistiche, ma quello in cui i rischi di inflazione saranno ragionevolmente simmetrici e in cui i tassi neutrali saranno un po’ più alti di quelli attualmente prezzati.
Questo perché la domanda aggregata in molti Paesi sembra godere di elementi strutturalmente favorevoli: famiglie e imprese con buoni bilanci, livelli di avversione al rischio più bassi rispetto alla norma dopo la crisi finanziaria internazionale, maggiore necessità di investimenti pubblici e privati associati alla transizione ecologica, aumento della spesa militare.
D’altro canto, non dobbiamo dimenticare che esistono diversi fattori che possono ostacolare una risposta efficiente dell’offerta a questa domanda più dinamica, come ad esempio il pensionamento dei baby boomer e quindi minore offerta di lavoro. questo implica, per i mercati che gli asset che hanno fatto meglio da inizio anno (crescita, tecnologia, oro, duration, ecc.) saranno probabilmente i peggiori performer relativi per il resto dell’anno.
Negli Stati Uniti, i problemi riscontrati in alcune banche statunitensi non dovrebbero portare a un inasprimento “catastrofico” delle condizioni finanziarie. In prospettiva, il forte grado di disintermediazione bancaria che caratterizza da tempo il sistema finanziario statunitense riduce la probabilità che i problemi che stanno interessando le banche regionali americane generino qualcosa di simile a una recessione. per quanto riguarda il tetto del debito probabilmente si risolverà senza causare grossi problemi, per non mettere in discussione il ruolo del dollaro come valuta di riserva e la reputazione dei titoli del Tesoro USA come asset privo di rischio per eccellenza.
L’attuale contesto economico globale
Se è vero che alcuni indicatori hanno mostrato segni di moderazione, ciò non significa che l’economia statunitense sia sull’orlo della recessione. Al contrario, gli Stati Uniti sembrano iniziare a correggere l’enorme eccesso di domanda generato dopo la pandemia. Un segno di crescente debolezza dell’economia statunitense è quello della crescita del Pil del primo trimestre (1,1% trimestre su trimestre annualizzato, un tasso teorico chiaramente inferiore al potenziale). Tuttavia, anche in questo caso, analizzando questi dati, è difficile non concludere che l’economia statunitense continua a mostrare una grande forza di fondo. Due esempi: i consumi privati sono cresciuti a tassi trimestrali annualizzati del 3,7% nel primo trimestre; il calo delle scorte, dal canto suo, ha sottratto quasi 2,3 punti alla crescita in quel periodo.
Inoltre, le aspettative di inflazione delle imprese statunitensi continuano a muoversi nella giusta direzione e ciò rende più credibile la possibilità che la Fed possa controllare l’inflazione senza dover provocare una recessione dell’economia americana.
Se invece analizziamo la situazione dell’Europa, i dati del mercato del lavoro e del settore dei servizi nell’Eurozona non solo non indicano una recessione, ma sarebbero piuttosto compatibili con una certa accelerazione dell’attività economica. Anche le aspettative di inflazione nell’area dell’euro appaiono in fase di moderazione e questo, come nel caso degli Stati Uniti, rende plausibile uno scenario di atterraggio morbido dell’attività economica, sufficiente a ottenere una progressiva moderazione delle pressioni sui prezzi nei prossimi trimestri.
Infine, bisognerà tenere d’occhio anche l’evoluzione dei prezzi dei generi alimentari e dell’energia nel resto dell’anno. Se queste dovessero aumentare in modo sensibile, l’inflazione complessiva potrebbe chiudere l’anno a tassi ancora troppo elevati, il che a sua volta potrebbe portare a una catena di eventi poco sgraditi. Vale a dire: disancoraggio delle aspettative di inflazione, effetti significativi di seconda battuta su salari e prezzi, rialzi dei tassi ancora più aggressivi da parte delle banche centrali. E, poi, recessione (forse significativa) come scenario centrale per il 2024.