Chissà che la questione Unicredit-Commerzbank non finisca, tra le altre note, anche sull’agenda di Sergio Mattarella. Il presidente della Repubblica sarà in visita a Berlino dal 26 al 29 settembre, con passaggio a Colonia e Bonn e coda finale a Marzabotto con Frank-Walter Steinmeier per le celebrazioni dell’ottantesimo anniversario dell’eccidio di Monte Sole. Nel calendario vi sono incontri con i massimi rappresentanti politici tedeschi: naturalmente con il suo omologo Steinmeier, ma anche con il cancelliere Olaf Scholz, oltre che un passaggio al Bundestag e con il borgomastro di Berlino sotto la Porta di Brandeburgo. Ad accompagnarlo, la figlia Laura e il ministro degli Esteri Antonio Tajani. Non è ovviamente compito del presidente della Repubblica entrare in questioni dettagliate che riguardano il mondo finanziario, ma sarà probabilmente l’occasione per rasserenare il clima e provare ad appianare le acque agitate attorno alla partita bancaria in corso.
Intanto, seguire il braccio di ferro tra Unicredit e (ormai è chiaro) il governo di Berlino sulle pagine del primo quotidiano economico tedesco è come saltare su piani diversi, entrare in due mondi paralleli che seguono la stessa orbita, senza incrociarsi mai. Da un lato la cronaca, dall’altra i commenti.
Le cronache raccontano da un lato gli strappi di Andrea Orcel, le sue strambate e le virate senza perdere di vista la meta ambita, dall’altro le difficoltà di un governo debole che si scopre sovranista (quello di Berlino), sorpreso dagli eventi e spaventato dal mare aperto. Le opinioni, espresse attraverso gli editoriali, pendono invece verso una considerazione semplice: la fusione con Unicredit sarebbe utile a Commerzbank e anche alla Germania.
“Unicredit aumenta la pressione sulla direzione della Commerzbank e sul governo federale, che di fatto vuole impedire l’acquisizione della seconda banca privata tedesca”, racconta l’Handelsblatt riportando la sfuriata di Olaf Scholz che non sembra trovare pace in questi giorni neppure nella oasi protetta di New York. “Attacchi ostili e acquisizioni ostili non sono una cosa positiva per le banche. Ecco perché il governo federale si è posizionato chiaramente in questa direzione”, sono le parole di Scholz, “non riteniamo che questo sia un approccio appropriato in Europa e in Germania, che, in una certa misura, senza alcuna cooperazione, senza alcuna consultazione, senza alcun feedback, le persone stanno cercando di investire in modo aggressivo nelle aziende, utilizzando metodi ostili”.
La resistenza del cancelliere si fortifica attorno a quel 12 per cento di azioni rimaste in capo al governo, frutto dell’intervento operato nel lontano 2008 per salvare la seconda banca privata tedesca dal fallimento: erano i mesi caldi della crisi finanziaria globale.
Accanto a lui si frappongono i sindacati (Stefan Wittmann, segretario del sindacato Verdi e membro del consiglio di sorveglianza della Commerzbank: “Come rappresentanti dei dipendenti riteniamo che questo sia un atto del tutto inappropriato e aggressivo, non solo nei confronti della banca, ma anche nei confronti del governo”) e presidenti di Land (Boris Rhein, Cdu, presidente dell’Assia: “Per me è chiaro: non possiamo permettere che le nostre navi ammiraglie si svendano. L’intera economia tedesca trae vantaggio da una piazza finanziaria sovrana a Francoforte”). Ma su tutti pende il giudizio sferzante di un altro ex presidente dell’Assia (che è il Land di Francoforte, dove ha sede Commerzbank), cristiano-democratrico anche lui, Roland Koch, uno che si è sempre speso per rafforzare Francoforte come sede bancaria: “Avanti dilettanti”.
Il perché lo spiega Thomas Sigmund, cui l’Handelsblatt affida l’editoriale di oggi, il direttore della redazione di Berlino del quotidiano economico (la cui sede è a Düsseldorf). Il governo tedesco è stato messo alla prova da Unicredit, spiega Sigmund, non voleva vendere altre azioni agli italiani, ma questo come si è visto non ha fatto loro molta impressione: “Ovviamente, lo Stato non è solo un cattivo imprenditore, ma anche un cattivo investitore. Il caos che ha accompagnato la vendita di una quota del 4,5% detenuta dal governo, che è finita a Unicredit perché lo stesso governo non era a conoscenza del fatto che gli italiani avevano già acquisito azioni di pari importo, ne è stata una prova impressionante”.
Al contrario, dal lato Unicredit, le mosse sono state finora ben ponderate. Si poteva immaginare che Unicredit non si sarebbe rassegnata al ruolo di azionista di minoranza – racconta Sigmund – Orcel ha inizialmente mantenuto un profilo basso dopo il rifiuto del governo tedesco di vendere altre azioni. Si trattava di uno stratagemma per evitare che il prezzo delle azioni di Commerzbank salisse prima che Unicredit avesse concluso l’accordo: “La conclusione è che il capo di Unicredit ha fatto il suo lavoro”.
Ma, al di là dell’abilità degli uni e della sprovvedutezza degli altri, il punto fondamentale va cercato altrove. “La partecipazione del governo federale ha reso la Commerzbank più lenta negli ultimi 16 anni”, scrive l’Handelsblatt nell’editoriale, “non ha portato la banca a diventare significativamente più grande o più redditizia. Con una capitalizzazione di mercato inferiore ai 20 miliardi di euro, è uno degli attori minori nel panorama bancario europeo”. E se può essere valido l’argomento che una banca per le piccole e medie imprese come Commerzbank debba rimanere tedesca nel suo nucleo, è anche vero che se si vuole la tanto decantata Unione europea dei mercati dei capitali, “bisogna anche fare passi come questo. Abbiamo bisogno di campioni europei, non nazionali”.
Quando il governo decise di intervenire con i soldi dei contribuenti per salvare Commerzbank dal fallimento, promise che sarebbe stato un investimento temporaneo. “È semplicemente inaccettabile che i cittadini debbano salvare in modo permanente il settore finanziario”, ricorda il quotidiano economico, e quanto alle preoccupazioni per la possibile acquisizione conclude: “A proposito, Unicredit ha rilevato Hypovereinsbank 20 anni fa. Il mercato tedesco non è poi fallito”.