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Inflazione

Deutsche Bank e non solo, ecco le verità non dette sulle banche tedesche. Report Unicredit

Che cosa si legge a sorpresa in un report del capo economista di Unicredit, il danese Erik Nielsen, sui gruppi bancari tedeschi come Deutsche Bank

L’anno scorso le 15 maggiori banche dell’eurozona hanno riportato un rendimento medio del 7% sul capitale proprio, al di sotto del cost of equity per il decimo anno consecutivo, e ben al di sotto del rendimento del 12% prodotto dalle 15 maggiori banche statunitensi. Di conseguenza, in media, le grandi banche della zona euro scambiano a circa la metà del loro valore di libro, scrive Erik Nielsen, capo economista di Unicredit, mentre i loro concorrenti statunitensi scambiano in media 1,16 volte, dalle due alle tre volte.

CHE COSA SI LEGGE NEL REPORT UNICREDIT

A questo punto Nielsen inizia una disamina delle banche europee, perché non sono tutte uguali. Per i funzionari di Bruxelles e di Francoforte, l’unico vero tema che conta sono gli Npl, i crediti deteriorati. Che però, scrive l’economista danese, hanno visto grandi passi avanti negli ultimi due anni, in concomitanza con l’opera di supervisione della Bce che ha spinto le banche ad abbassare i livelli.

I CONFRONTI FRA BANCHE EUROPEE

E in tal senso, a partire dal terzo trimestre dello scorso anno, solo il Portogallo (6%), l’Irlanda (5%), l’Italia (4%) e un certo numero di paesi dell’Est Europa al di fuori dell’area dell’euro aveva un ratio sugli Npl netti superiore alla media Ue dell’1,8%. Mentre è importante mantenere la pressione per ottenere ulteriori riduzioni, scrive Nielsen, il problema principale non è in realtà questo, ma i livelli di costo generali in molte banche.

IL RAPPORTO COSTO-RENDIMENTO

Come regola generale, il rapporto costo/rendimento (cost-to-income-ratio) per le banche che generano reddito è in genere compreso in un intervallo di circa il 60%. Questo rapporto è sicuramente cresciuto in Europa prima della crisi finanziaria, ricorda l’economista, ma progressi significativi sono stati raggiunti in diversi Paesi, in particolare nell’Europa meridionale e in Irlanda.

TUTTI I DETTAGLI DELLO STUDIO DELL’ECONOMISTA DI UNICREDIT, NIELSEN

A partire dal terzo trimestre dell’anno scorso, le banche in Spagna e Portogallo hanno portato i loro indici, rispettivamente al 52% e al 53%, mentre le banche irlandesi (al 62%) e le banche italiane (al 63%) non sono molto distanti. Per contro, le banche francesi avevano al 30 settembre 2018 un rapporto costo/rendimento del 72% e le banche tedesche dell’80%. Il cost-to-income ratio di Deutsche Bank ha fatto addirittura registrare il 90,3%.

IL MERCATO DEL LAVORO IN GERMANIA E FRANCIA

Per quale ragione emerge questa notevole differenza? In primo luogo, le pressioni esercitate dai mercati e dalle autorità di vigilanza hanno avuto un effetto positivo sul controllo dei costi delle banche, soprattutto quelle del Sud Europa. In secondo luogo, la parte schiacciante dei costi è composta da stipendi e bonus, con grandi differenze nelle leggi sul lavoro in tutta Europa che hanno avuto un grande effetto sulla capacità delle banche di tagliare posti di lavoro e bonus. In questo caso, ricorda Nielsen, Germania e Francia si distinguono come tra i mercati del lavoro in Ue meno flessibili, con maggiori problemi di adeguamento dei costi alla nuova realtà globale.

(estratto di un articolo pubblicato su Mf/Milano Finanza; qui la versione integrale)

 

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