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Una Manovra senza propagandismi

Stretta fra i vincoli europei e il debito pubblico italiano, le misure della Manovra sono la fotografia del realismo possibile, non della rivoluzione impossibile. Il taccuino di Guiglia.

La prima cosa che salta agli occhi sulla terza legge di bilancio portata a casa dal governo di Giorgia Meloni da quando s’è insediato, è proprio la legge di bilancio: è stata fatta e approvata, mentre Germania e Francia, in piena crisi politica e di instabilità anche economica, sono alle prese con l’esercizio provvisorio. A dimostrazione di quanto il fragile e drammatico contesto di guerre nel mondo a noi vicino incida pesantemente sulla governabilità e sui conti financo di Paesi dalla salda e solida tradizione. Rispetto ai quali l’Italia si conferma un’eccezione importante, circostanza che dovrebbe andare a beneficio non già di questo o quel partito, ma di tutti i cittadini. E che semmai dovrebbe spingere l’esecutivo a cessare ogni residua e infantile polemica contro l’Europa di cui fa parte e della quale, anzi, dovrebbe afferrare le redini con maggior vigore, ora che tedeschi e francesi sono azzoppati tra elezioni anticipate gli uni e mancanza di una maggioranza politica e perfino aritmetica all’Assemblea nazionale, gli altri.

La seconda considerazione di evidenza pratica sulla manovra da 30 miliardi è che non si presenta né di ottima né di pessima fattura. Stretta fra i vincoli europei e il debito pubblico italiano, le misure sono la fotografia del realismo possibile, non della rivoluzione impossibile. Sarebbe ingenuo attendersi miracoli, così come pretestuoso bocciarla a prescindere.

Strutturata per due terzi (circa 18 miliardi) sul taglio del cuneo fiscale e sulla semplificazione dell’Irpef, cioè a favore dei ceti medio-bassi, essa riflette, pur nell’equilibrio dei conti in ordine che non può disattendere, l’ottica con cui il centrodestra guarda alla società. Lo confermano le scelte per contrastare la denatalità con l’aiuto a famiglie con figli o l’aumento delle risorse (1,4 miliardi) per costruire il Ponte sullo Stretto dal costo complessivo di 13. E l’incremento di 1,3 miliardi per la sanità nel 2025. Imprese e famiglie, a questo ha badato la maggioranza.

Non è la stessa finanziaria che avrebbe fatto il centrosinistra, investendo più soldi sulla sanità (“il governo ha fatto il minimo storico”, accusano le opposizioni), e in ambiti come l’istruzione e la ricerca. Ma la coperta è corta per tutti: non è il quanto, ma il come e il dove a rappresentare la differenza di vedute e interventi. A voler tagliare tasse e spese sono buoni tutti, a parole. Poi nel concreto si scopre quanto sia arduo mantenere quel poco che s’è tagliato in precedenza, per esempio nella riduzione del cuneo che dovrebbe valere per 5 anni.

D’altra parte, al di là delle polemiche, compresa l’ultima sul Senato chiamato solo a ratificare quanto già emendato e stabilito alla Camera, dunque scavalcato, nessun governo può più permettersi di sorvolare su tre punti cardinali: meno tasse per stimolare la crescita, maggiori risorse per la bistrattata sanità e battaglia contro la denatalità, l’insidia peggiore del nostro tempo anche per la nostra economia.

Checché ne dicano gli orchestrali al governo e all’opposizione, la musica suona uguale per tutti.

(Pubblicato su L’Arena di Verona, Il Giornale di Vicenza, Bresciaoggi e Gazzetta di Mantova)
www.federicoguiglia.com

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