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Tutte le ubriacature green della finanza

La finanza internazionale sta iniziando a fare i conti con la realtà con le incertezze e le difficoltà della transizione ecologica. L'articolo di Sergio Giraldo.

La finanza internazionale inizia a fare i conti con la realtà e, dopo l’ubriacatura ideologica degli ultimi anni, sembra iniziare a valutare le aziende del comparto green badando ai fondamentali. La frenata della transizione ecologica, del resto, è nei numeri ed è sempre più difficile nasconderla. Nelle ultime settimane si sono accavallate le notizie legate ai guai finanziari di grandi aziende del settore eolico come Siemens Energy e Orsted, oltre al rallentamento della produzione di veicoli elettrici da parte di Ford e General Motors e alla decisione dei governi (quello inglese e quello canadese per citare due esempi) di rallentare sulla decarbonizzazione.

LA FINANZA CAMBIA IDEA SUL GREEN?

Ora anche gli indici azionari delle società del comparto delle energie rinnovabili vedono un allineamento su valori più obbiettivi rispetto alle reali prospettive. I rischi della transizione ecologica sono molti. Ma è solo da pochi mesi che i mercati finanziari hanno iniziato ad attribuire prezzi più ragionevoli ai titoli del comparto green, tenuto conto delle grandi incertezze che oggi toccano i mercati internazionali e dei rischi geopolitici.

Uno degli Exchange Traded Fund (ETF) più liquidi sul mercato, specializzato proprio in aziende del settore green, è l’iShares Global Clean Energy, un fondo gestito da BlackRock. Questo fondo replica l’andamento di un indice chiamato S&P Global Clean Energy Index, che raccoglie l’andamento di un paniere di circa 100 aziende del settore delle energie rinnovabili (fotovoltaico, eolico, idroelettrico).

Ebbene, le quotazioni del fondo sono in caduta del 34% dall’inizio dell’anno, segnale di grande debolezza. Nello stesso periodo, l’indice azionario americano più importante, S&P 500, che raccoglie le 500 aziende a maggiore capitalizzazione degli Stati Uniti, ha fatto segnare un +16%. Dunque, la performance relativa del Clean Energy Index è addirittura del -50% rispetto al normale indice azionario.

A dispetto di un andamento così svantaggioso, però, proseguono gli incentivi pubblici e le sovvenzioni ad un settore che sta dimostrando di non riuscire a camminare con le proprie gambe.

LE EMISSIONI DI OBBLIGAZIONI LEGATE ALLE ENERGIE PULITE

L’andamento negativo dell’indice green più liquido sul mercato non è il solo segnale di una frenata robusta del mondo della finanza nei confronti delle energie rinnovabili. Anche le emissioni di obbligazioni private legate alle energie cosiddette pulite hanno subito un rallentamento. Se nel 2021 erano state emesse sul mercato obbligazioni per 608 miliardi a livello mondiale, nel 2022 si è scesi a 541 miliardi di dollari e il 2023 chiuderà sotto questa cifra, attorno ai 510 miliardi di dollari. Al momento ci sono in circolazione 2.288 miliardi di dollari di obbligazioni verdi. Una bella cifra.

Questo è certamente un buon motivo per cui ci si affanna a sostenere un settore che se oggi andasse in crisi trascinerebbe con sé banche e borse di mezzo mondo.

Ma la realtà si impone sempre. Negli USA gli investimenti in fondi “sostenibili” hanno visto un deflusso netto di 2,7 miliardi di dollari nel periodo luglio-settembre 2023. Alcune società di gestione hanno addirittura cancellato in alcuni dei propri prodotti finanziari i riferimenti all’ESG (Environment, Social and Governance).

Le società del tradizionale settore degli idrocarburi, invece, hanno fatto segnare nel 2022 e 2023 profitti da record, attirando così ancora l’interesse degli investitori. Non solo: la grande liquidità a disposizione dei colossi del petrolio ha favorito una intensa attività di fusioni e acquisizioni. Emblematici i casi di Chevron ed Exxon, che nelle settimane scorse hanno fatto shopping di concorrenti con acquisti da decine di miliardi di dollari. I profitti record permettono altresì di concentrarsi su ulteriori sviluppi tecnologici e di fare investimenti in nuove esplorazioni.

Il contrario, insomma, di quanto sta avvenendo nel settore delle energie pulite, dove vi sono fattori strutturali che bloccano lo sviluppo. Il primo ostacolo è il costo del denaro: molti investimenti sono stati decisi in tempi in cui i tassi di interesse erano prossimo allo zero, e il rapido innalzamento dei tassi ufficiali ha mandato fuori mercato moltissimi progetti di energie rinnovabili. Si è assistito a svalutazioni miliardarie, oppure ad aumenti dei prezzi fino al 50% nella vendita di energia, come nel caso della società francese Engie, che negli USA ha dovuto così rimediare ai maggiori costi di finanziamento.

I PROBLEMI ALLE CATENE DI FORNITURA

Il secondo ostacolo è rappresentato dalle difficoltà che si riscontrano nelle catene di fornitura mondiali. Non solo alcuni materiali indispensabili alla transizione ecologica sono aumentati di prezzo, ma si verifica anche una difficoltà nel reperirli, sia per le tensioni geopolitiche che percorrono il pianeta sia per l’aumento della domanda.

Infine, finanza a parte, dopo le incredibili scelte suicide degli ultimi anni, anche alcuni governi (solo alcuni) hanno finalmente capito che la questione della sicurezza energetica ha la priorità su ogni altra considerazione. Questa era in fondo la lezione di Enrico Mattei, che sembra sia stata dimenticata con troppa facilità. Soprattutto in quel di Bruxelles.

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