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Debito Pubblico Italiano

Tutte le bufale su debito pubblico e fuga degli investitori dall’Italia

Gli ultimi dati sui titoli di Stato analizzati e commentati da Giuseppe Liturri

Ricordate i titoli roboanti dell’ottobre scorso sulla presunta fuga di investitori stranieri dal debito pubblico italiano? Ricordate i timori sulla montagna di debito pubblico da sottoscrivere nel 2019 e sulla probabile mancanza di investitori?

Bene, alla prova dei fatti si sono rivelati inconsistenti e chi ha fatto da grancassa a tali timori si è rivelato un propalatore di bufale.

I dati della Banca d’Italia pubblicati lunedì ci dicono che a gennaio 2019 gli stranieri sono tornati ad acquistare titoli pubblici italiani, portando il loro stock da 630 a 651 miliardi. Un incremento di tale misura non si registrava dal marzo 2018 ed ora il livello di titoli detenuti da stranieri è vicino a quello di agosto 2018 (656) mentre a fine 2017 era pari a € 681 milioni.
Ma chi ha aumentato gli investimenti in titoli del debito pubblico nei mesi da maggio in avanti in cui si temeva l’apocalisse? Banca d’Italia nell’ambito del programma della BCE di acquisto di titoli (cosiddetto Quantitative Easing) è arrivata a circa 400 miliardi, le banche ne detengono €394 miliardi ed altri istituzioni finanziarie (fondi, assicurazioni) ne detengono € 470 miliardi.

Questi 3 gruppi di soggetti detenevano cumulativamente a fine 2017 €1.125 miliardi ed a fine 2018 sono arrivati a detenere €1.227 (€1.264 a gennaio 2019), ben €102 miliardi in più. Il 63% dei titoli.

Addirittura, ad inizio 2019, sfruttando la domanda sostenuta da parte degli investitori, il Tesoro si è permesso il lusso di aumentare l’indebitamento senza spendere quelle somme ma detenendole come disponibilità liquide (€79 miliardi a gennaio e €69 miliardi a febbraio) di cui una parte presso la Banca d’Italia.

Allora chi ha fatto l’affare? Gli stranieri che hanno ridotto, seppur non nella misura catastrofica paventata da certi titoli di giornale, la loro esposizione o Banca d’Italia e le altre istituzioni finanziarie che hanno incrementato i titoli detenuti?

La risposta, forte e chiara, arriva dal bilancio 2018 di Banca d’Italia. L’utile record è soprattutto attribuibile ai titoli pubblici acquistati e detenuti nell’ambito del QE. Il dividendo pagato al Tesoro è stato pari a €5,7 miliardi, in crescita di €2,3 miliardi rispetto all’anno precedente.

C’è anche un altro dato rilevante. Quegli interessi costituiscono per il bilancio dello Stato una partita di giro. Su uno stock di circa €400 miliardi (il 20% circa dei titoli in circolazione, non proprio quisquilie), lo Stato paga interessi con una mano ed incassa interessi con l’altra, via bilancio della Banca d’Italia.

Quindi, finché quei titoli restano nel bilancio di Banca d’Italia (e resteranno a lungo perché Draghi ha promesso che il QE continuerà reinvestendo i proventi dei titoli che progressivamente scadranno) il 20% del titoli pubblici italiani in circolazione non genererà interessi a carico del bilancio pubblico.

Infine, con buona pace di chi periodicamente solleva obiezioni sugli azionisti privati di Bankitalia, vale la pena di far notare la particolare natura di istituto di diritto pubblico della nostra Banca Centrale il cui Statuto limita al 6% del capitale i dividendi attribuibili a questi 124 soggetti privati. Poco più di €400 milioni. In ogni caso per il 2018 ci si è fermati al 4,5%.

Allora chi ha fatto l’affare? Gli stranieri che hanno alleggerito le loro posizioni, seguendo il gregge pilotato dai titoli dei giornali, salvo poi ritornare precipitosamente a comprare a gennaio, o le banche italiane, Banca d’Italia in testa che, in un mondo di rendimenti zero e sottozero, hanno fatto il bilancio?

Ma, soprattutto, vogliamo far sapere agli italiani che il 20% dei titoli pubblici non genera interessi a carico del bilancio statale e promette di non generarne a lungo?

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