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Trump metterà davvero dazi del 200% sui farmaci?

Spostare negli Stati Uniti la produzione delle case farmaceutiche in un anno, un anno e mezzo è una missione impossibile. Eppure questa è la richiesta di Trump per non imporre dazi del 200% sui farmaci. Fatti, numeri e commenti

 

Proseguono le minacce del presidente degli Stati Uniti Donald Trump al settore farmaceutico. Alle aziende è stato concesso un periodo di grazia di 12-18 mesi per trasferire la loro produzione negli Usa, dopodiché potrebbero rischiare dazi fino al 200%.

LE INTENZIONI DI TRUMP

Secondo gli ultimi annunci rilasciati, Trump ha dato alle aziende farmaceutiche 12-18 mesi per spostare la loro produzione negli Stati Uniti, prima di incorrere in pesanti dazi sulle importazioni di farmaci. La misura, ancora in fase di definizione, prevede dazi fino al 200% per chi continuerà a produrre all’estero.

“Daremo alle persone circa un anno, un anno e mezzo per adeguarsi – ha dichiarato il presidente durante una riunione di gabinetto alla Casa Bianca -. Saranno tassati a un tasso molto, molto alto, tipo il 200%”.

UNA CORSA CONTRO IL TEMPO PER RIORGANIZZARE LA PRODUZIONE

Per riconfigurare le catene di approvvigionamento e avviare la produzione sul suolo americano, le case farmaceutiche dovranno affrontare una corsa contro il tempo. Stando a quanto riportato da Endpoints News, spostare la produzione e costruire nuovi impianti richiede spesso diversi anni, molto più del periodo indicato da Trump. Per l’associazione di categoria PhRMA possono essere necessari da 5 a 10 anni e 2 miliardi di dollari per creare un nuovo impianto di produzione negli Stati Uniti, in parte a causa dei requisiti normativi.

Eppure, alcune aziende – tra cui Johnson & Johnson, Eli Lilly, Gsk, AstraZeneca, Roche e Novartis – hanno già annunciato miliardi di dollari in investimenti negli Stati Uniti, cercando di prevenire sanzioni future e mantenere buoni rapporti con la Casa Bianca.

UN SETTORE FORTEMENTE A RISCHIO

Se Trump dovesse procedere con l’introduzione dei dazi, il settore farmaceutico potrebbe essere duramente colpito. Secondo uno studio della Kenan-Flagler Business School dell’Università del North Carolina, nel 2024 gli Stati Uniti hanno importato prodotti farmaceutici per un valore di 212 miliardi di dollari, rendendoli il quinto bene più importato. Gran parte dei farmaci generici proviene da India e Cina, paesi ancora coinvolti in negoziati commerciali con l’amministrazione statunitense. Mentre le esportazioni di farmaci e prodotti farmaceutici dell’Ue verso gli Stati Uniti, secondo Eurostat, ammontavano a circa 90 miliardi di euro nel 2023.

INDAGINE AI SENSI DELLA SEZIONE 232

La proposta tariffaria sui farmaci si inserisce all’interno di un’indagine avviata ad aprile dal dipartimento del Commercio ai sensi della Sezione 232, che consente modifiche alle regole sulle importazioni per motivi di sicurezza nazionale. Il Ceo di Pfizer, Albert Bourla, ha detto agli investitori che l’obiettivo sarebbe limitare le importazioni da paesi “avversari”. Tuttavia, la Casa Bianca ha smentito ogni interpretazione prematura. “Qualsiasi idea secondo cui avremmo già deciso l’esito dell’indagine e le azioni conseguenti è pura speculazione” ha riferito un funzionario a Endpoints News.

1º AGOSTO, FORSE SÌ FORSE NO

Nonostante le dichiarazioni aggressive, Quartz scrive che Trump ha mostrato una certa incertezza sulla scadenza del 1º agosto, affermando che “non è rigida al 100%”. Questo, secondo Cnbc, ha fatto sì che le azioni del settore farmaceutico rimanessero perlopiù invariate dopo le ultime dichiarazioni, che, per l’analista di Leerink Partners David Risinger, sono positive per l’industria “poiché i dazi non verranno applicati immediatamente… ed è incerto se l’amministrazione li attuerà effettivamente in futuro”.

Altri membri dell’amministrazione, tuttavia, si dicono fiduciosi nella possibilità di raggiungere accordi con dozzine di partner commerciali entro le prossime settimane. “Ancora una volta, dipende al 100% dal presidente – ha detto il Segretario al Tesoro Scott Bessent a Spectrum News -. Come ho detto, ci ha dato il massimo potere negoziale”.

LA PREOCCUPAZIONE DELL’AUSTRALIA

A esternare particolare preoccupazione per le misure annunciate da Trump è stata l’Australia, che ogni anno esporta circa 2,5 miliardi di dollari in prodotti farmaceutici e sanitari verso gli Usa, pari al 40% delle sue esportazioni globali del settore.

Il ministro del Tesoro, Jim Chalmers, ha definito lo scenario “molto preoccupante” e ha confermato che Canberra sta cercando urgentemente chiarimenti da Washington. Tra le aziende più esposte c’è CSL, leader nel plasma.

Il vice governatore della banca centrale australiana, Andrew Hauser, invece, ha paragonato l’impatto potenziale dei dazi all’effetto della Brexit, sottolineando che i cambiamenti tariffari possono avere conseguenze economiche profonde, anche se i primi effetti sono modesti. Inoltre, ha definito “sconcertante” la mancanza di preoccupazione da parte degli investitori.

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