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Perché un tribunale federale ha rottamato i dazi di Trump

Effetti e scenari dopo che un tribunale federale specializzato in commercio internazionale ha dichiarato che quasi tutti i dazi di Trump sono illegali e dunque le imprese non sono tenute a pagarli. Estratto di un'analisi di Stefano Feltri per Appunti.

Un tribunale federale specializzato in commercio internazionale ha dichiarato che quasi tutti i dazi di Trump sono illegali e dunque le imprese non sono tenute a pagarli.

La minaccia di tassare tutte le merci europee al 50 per cento all’improvviso appare molto meno credibile.

La Commissione europea di Ursula von der Leyen ha molta meno fretta di arrivare a un accordo entro la scadenza concordata del 9 luglio.

Se von der Leyen usasse linguaggio trumpiano, dopo la sentenza della US Court of International Trade potrebbe limitarsi a dire al presidente che può mettersi i dazi dove crede, ma certo non alle frontiere.

Trump farà appello, porterà il caso alla Corte suprema, ma intanto quasi tutto il suo protezionismo collassa di colpo. E va in crisi anche il suo intero approccio al potere e al ruolo di presidente.

La Corte, infatti, ha dato ragione a un importatore di vini che contestava i dazi e ha usato argomenti difficili da contestare.

Trump non aveva i poteri per mettere quei dazi per due ragioni. La prima è che la legge che ha usato, l’International Emergency Economic Powers Act non consente di mettere dazi generalizzati contro praticamente tutti i Paesi del mondo come ha fatto Trump il 2 aprile scorso. E men che meno consente al presidente di variarli a piacimento, per spaventare chi non collabora e premiare chi lo fa.

Quella legge, modificata nel 1977 proprio per restringerne l’utilizzo, consente al presidente di dichiarare un’emergenza e di prendere misure specifiche per affrontarla. Ma Trump ha dichiarato un’emergenza vaghissima, non meglio precisate minacce da gruppi criminali ai confini – gang criminali, terroristi, trafficanti, contrabbandieri – e poi però ha usato quei poteri per affrontare quello che lui stesso definisce un problema cronico degli Stati Uniti, cioè il deficit commerciale.

I dazi sono dunque illegali perché non rispettano il perimetro della legge, e perché non sono in alcun modo coerenti con la minaccia che sostengono di voler affrontare.

Ma c’è un problema più profondo, osserva la Corte: come ha scritto James Madison nei Federalist Papers alla base della democrazia americana, affinché si mantenga la separazione dei poteri “al Congresso non è consentito abdicare o trasferire ad altri le funzioni legislative essenziali delle quali è titolare”.

Trump ha governato come se avesse il potere esclusivo di decidere la politica commerciale, senza consultare il Parlamento. E questo, dice la Corte, è contrario alla natura stessa della democrazia americana che si fonda sulla frammentazione del potere tra istituzioni diverse che si bilanciano tra loro.

Un argomento, questo, che mina il tentativo di Trump e dei suoi sostenitori di applicare teorie molto diffuse ormai a destra che prevedono l’unitarietà del potere esecutivo, in pratica il potere assoluto del presidente che, essendo legittimato dagli elettori, è al di sopra di ogni regola o controllo.

Magari Trump spera di vincere alla Corte suprema che è piena di giudici da lui nominati, e forse cercherà tra le tante leggi antiche e dimenticate per gestire situazioni di emergenza, un’altra base giuridica per i suoi amati dazi.

Ma intanto l’efficacia dei dazi come strumento negoziale è svanita, chi – come la Gran Bretagna – si affrettato a chiudere accordi commerciali tanto vaghi quanto poco vincolanti, giusto placare Trump, ora si trova nella scomoda condizione di aver fatto concessioni a un presidente che usava uno strumento illegale e illegittimo.

(Estratto da Appunti, qui la versione integrale)

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