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Tim

Che cosa farà Cdp in Tim e Open Fiber?

Le sfide della Cassa depositi e prestiti commentate e analizzate da Massimo Mucchetti

 

I governi di centro-sinistra hanno lanciato Open Fiber con l’idea di spezzare le reni a Tim, incuranti delle proprie probabilità di successo (scarse) e dei costi sociali (enormi) e finanziari (ancora più gravi), che una crisi radicale dell’ex monopolio, scatenata dall’eventuale successo di Open Fiber, addosserebbe infine al bilancio pubblico. Non pago, il Pd ancora a sostanziale trazione renziana ha portato la Cdp a comprare azioni Tim per “far fuori” i francesi, che prima aveva lasciato crescere indisturbati. E l’ha fatto d’intesa non con un partner industriale come imporrebbe la lunga transizione che attende l’azienda, ma con un fondo speculativo americano. Lo Stato insomma investe nella società alla quale voleva spezzare le reni, avendo a tale scopo dedicato altre risorse. Una contraddizione sconcertante. E il governo gialloverde?

Nonostante i conclamati impegni per la discontinuità, il governo Conte insiste sulla vecchia, confusa e inconcludente strada dei predecessori. E aggrava il conflitto d’interessi di uno Stato che si ritrova a tenere il piede in due scarpe concorrenti. Una Cdp al 10% di Tim non potrà non pretendere i suoi bravi consiglieri. Ma potranno votare costoro in consiglio di amministrazione e potrà votare la Cdp in assemblea o si dovranno, gli uni e l’altra, astenere sulle decisioni da prendere verso la parte correlata Open Fiber? E in Open Fiber, per le stesse speculari ragioni, potrà la Cdp decidere o dovrà lasciar fare all’Enel? Ma al di là delle questioni di governance, che si potranno manipolare attraverso eventuali accordi, resta irrisolto il nodo della redditività degli investimenti inevitabili. Se si vuole uscire dalla palude, il capitale investito andrà remunerato in misura tale da accompagnare nel tempo la trasformazione dell’infrastruttura senza provocare gravi crisi occupazionali nell’ex monopolio e non solo. Con un tale caveat sociale, la redditività dipende in misura prevalente dai ricavi. E qui risaltano i ruoli dell’Antitrust e dell’Agcom.

L’Antitrust non potrà più venerare la competizione infrastrutturale come un feticcio mercatista. L’aggregazione Tim-Open Fiber, d’altra parte, non porrebbe fine alla concorrenza degli operatori per aggiudicarsi la clientela finale ove a tutti fosse garantito l’accesso alla rete in fibra come già oggi accade per la rete tradizionale. Se la politica avesse a suo tempo lasciato realizzare il piano Socrate, avremmo avuto da anni un Paese più moderno, cablato da Tim, allora Telecom Italia. E nessuno avrebbe fiatato. Ma è inutile piangere sul latte versato.

L’altra Autorità, l’Agcom, non potrà non consentire la remunerazione della rete di nuova generazione da parte degli operatori in misura tale da non scoraggiare gli investimenti. Su questo punto fa testo la lezione di rigore e responsabilità dell’Autorità per l’energia (Arera) nei casi di Snam e di Terna.

Il punto cruciale per una nuova regolazione consiste nel superamento dell’ideologia del Consumer first. Aver subordinato la fusione tra Wind e 3, necessaria per far camminare due aziende altrimenti zoppe, all’unbundling della combined entity con un nuovo operatore sostanzialmente virtuale come Iliad non corrisponde a una logica industriale, ma a una politica forzata verso il low cost con ripercussioni in tutto il settore. D’altra parte, al pugno di ferro verso l’ex monopolio delle telecomunicazioni corrisponde una clamorosa afasia verso le piattaforme digitali che richiedono sempre più potenza trasmissiva per condurre i propri affari, e non partecipano in alcun modo agli investimenti che proprio loro rendono”necessari”.

Consumer first è una linea forte con i deboli, le telecomunicazioni, e debole con i forti, le piattaforme digitali. Una linea che non è stata seguita dalla regolazione di altri settori, a cominciare dall’energia. E comunque non più coerente con lo Stato interventista di oggi che pretende reti modernissime, finanziate dalla mano privata (anche Cdp usa denaro privato, il risparmio postale), senza sfracelli occupazionali.

(Estratto dal blog di Massimo Mucchetti)

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