Gentile direttore,
per forma mentis sono sempre stato una persona e un sindacalista aperto al confronto, ritenendo le critiche costruttive un momento di crescita personale e lavorativa.
È con questo spirito che, dopo aver letto l’articolo di Pereira, desidero offrire alle lettrici e ai lettori del suo giornale una breve riflessione di quanto sta accadendo dal 2020 ad oggi in quello che resta di Telecom Italia quinta potenza mondiale del settore Telecomunicazioni alla fine degli anni ’90.
Intanto, le confesso che sono commosso dalla fanciullesca serenità con cui il sig. Pereira ripercorre le tappe di quello che ho definito, da diversi anni, un piano scellerato che avrebbe portato a peggiorare le condizioni di lavoro e il potere di acquisto dei salari delle persone.
E dico ciò, con estrema fermezza, perché dividere un’azienda in tanti pezzi (il famoso spezzatino che rasserena qualcuno) significa sempre indebolire il poter rivendicativo dei lavoratori e la robustezza dei perimetri occupazionali.
A ciò si aggiunge che lo scorporo della rete ha costituito un atto in totale controtendenza rispetto a quanto avviene nel resto d’Europa, dove, le grandi imprese nazionali hanno prediletto – giustamente – un percorso di consolidamento degli asset strategici per poter competere su un mercato sempre più globalizzato. L’Italia, invece, si è candidata con quest’operazione squisitamente finanziaria, ad essere fanalino di coda come in tanti altri contesti.
Tuttavia, qualcuno plaude, dalle colonne del suo giornale, a quest’operazione perché in effetti è stata foriera della risoluzione, nel nostro Paese, del problema della connessione, di quello della digitalizzazione e delle infrastrutture, della copertura delle aree grigie, riuscendo anche a chiarire il complicato rapporto tra Open Fiber e Fibercop, azienda di cui non conosciamo ancora il piano industriale.
Tim ha migliorato le condizioni dei suoi lavoratori al punto da rimuovere l’ammortizzatore sociale della solidarietà, ha introdotto politiche attive del lavoro rafforzando il perimetro occupazionale e ha garantito la crescita professionale dei propri dipendenti! E soprattutto l’associazione datoriale, dietro suggerimento del suo presidente, ha concertato con il Sindacato l’erogazione di una somma economica a parziale copertura della vergognosa vacatio di 34 mesi del Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro.
Per la serenità di qualcuno, infine, è di queste ore l’apertura delle procedure di cessione di Telecontact, azienda di cui Tim è proprietaria al 100%, ad oggi fiore all’occhiello dell’assistenza clienti della stessa Tim e che quest’ultima sta provando a mettere fuori dal suo perimetro esternalizzando 1600 persone e destinandole ad un’azienda con capitale sociale di 10 mila euro!
Perbacco, devo essermi distratto, caro direttore!
Io che ho sempre sostenuto, per il bene del settore e delle persone che vi lavorano, che la rete unica con l’operatore verticalmente integrato, avrebbe reso l’Italia più competitiva sul mercato europeo ed aumentato la sostenibilità economica di Tim.
Purtroppo, devo constatare che, dopo lo scorporo della rete, l’ammortizzatore sociale a cui sono sottoposti i lavoratori di Tim da circa 15 anni è ancora in essere e l’azienda non ha valorizzato le professionalità acquisite negli anni dai lavoratori, conservandone il know-how e coniugandolo con forze nuove.
E pensare che ho sempre sostenuto che internalizzare Telecontact fosse la scelta più giusta per le lavoratrici e i lavoratori di quest’azienda, che tanto hanno faticato per rendere Tim una realtà migliore.
Le confesso, caro direttore, che per qualche istante ho avuto l’impulso di ringraziare qualcuno per il suo ottimismo, ma poi ho rimesso i piedi per terra e ho continuato a camminare a testa alta tra la gente preoccupata ed arrabbiata che, come Sindacato, rappresentiamo ed ho capito che a dormire per lungo tempo non sono stato io ma qualcun altro.






