Per i consumatori il 2023 è iniziato all’insegna dei rincari legati all’inflazione presentati dagli operatori della telefonia. A dare fuoco alle polveri Tim e WindTre che avevano aggiornato le condizioni dei propri contratti prevedendo la possibilità, dal 2024, di modificare in qualsiasi momento le tariffe applicate ai loro servizi, adeguandoli al tasso annuale di inflazione Istat. Sono previsti incrementi minimi fissi del 5%, anche in caso di tasso di inflazione inferiore, o maggiorato comunque del 3,5%. Come spiegano le associazioni a tutela dei consumatori nella missiva inviata alle istituzioni e authority, gli operatori hanno inoltre escluso “il diritto di recesso per gli utenti”. “Non a titolo gratuito almeno, non essendo considerata una modifica contrattuale” specificava il Corriere. E dato che da Roma Repubblica vaticinava che fosse solo l’inizio, visto che altri operatori della telefonia avrebbero seguito Tim e WindTre coi rincari di massa legati all’inflazione, è arrivato il parziale alt dell’Agcom.
LO STOP PARZIALE DELL’AUTORITA’
Intendiamoci, non è quella vittoria che le associazioni a difesa del consumo auspicavano. L’Autorità difatti non ha potuto rispedire al mittente in toto le istanze di compagnie già nella morsa della crisi delle tlc che per di più stanno affrontando massicci investimenti per l’arrivo del 5G.
Piuttosto, l’Agcom si è assicurata che sui rincari di massa legati all’inflazione il mondo della telefonia non si trasformi in una giungla, quindi nei contratti che non prevedevano l’automatismo, gli operatori non potranno limitarsi a inserirlo con una semplice comunicazione all’utente, come pure avevano già iniziato a fare: configura un cambio di natura contrattuale, ergo per essere attuata serve una esplicita accettazione, in forma scritta, da parte dell’utente finale. Insomma, si sottoscrive di fatto un nuovo contratto, con gli utenti liberi di guardarsi attorno, rifiutare la modifica e tenersi il contratto fino alla sua naturale scadenza alle vecchie condizioni.
L’INTERVENTO AGCOM SUI RINCARI PER INFLAZIONE NELLA TELEFONIA
Per la medesima ragione, i nuovi contratti saranno soggetti a una disciplina differente, dato che gli operatori potranno inserire da subito la clausola che indicizza le tariffe all’inflazione e gli utenti quindi non si troveranno con condizioni che mutano unilateralmente, all’improvviso.
“Per i contratti che prevedono già un meccanismo di indicizzazione, il conseguente aumento del canone – si legge in una nota dell’Agcom – non si configura come una modifica unilaterale delle condizioni contrattuali e quindi non conferisce all’utente il diritto di recedere dal contratto senza penali solo nel caso in cui l’adeguamento sia dipendente da un indice oggettivo dei prezzi al consumo stabilito da un istituto pubblico”.
Tuttavia a cambiare all’improvviso potrebbe essere il quantum, perciò – è l’intervento dell’Agcom – le tariffe non potranno cambiare ad libitum, ma solo in misura corrispondente alla variazione dell’indice annuale dei prezzi al consumo. “Una volta prevista l’indicizzazione nel contratto, l’operatore potrà modificare le tariffe esclusivamente in misura corrispondente alla variazione dell’indice annuale dei prezzi al consumo”, è l’altolà dell’Autorità.
E dato che i prezzi non sono più bloccati, come si prevedono modifiche in peius per l’utente, devono essere predisposte pure in melius e scendere, se l’inflazione sarà negativa. Quest’ultima ipotesi, di un taglio delle tariffe se la situazione economica dovesse capovolgersi rispetto all’attuale non era stata presa in esame dagli operatori che anzi avevano previsto un sovrapprezzo aggiuntivo rispetto all’inflazione, del tutto ingiustificato per Agcom e per questo considerato illecito.
Previsti nuovi oneri di trasparenza in capo all’operatore che deve pubblicare sul sito proprio web l’entità della variazione del canone due mesi prima della sua entrata in vigore. La stessa informazione deve essere comunicata all’utente per iscritto o su supporto durevole, almeno un mese prima della sua entrata in vigore, per esempio attraverso un avviso sulla fattura emessa periodicamente. Le informazioni ai consumatori sulla presenza di eventuali clausole di indicizzazione vanno incluse nella descrizione delle offerte commerciali insieme alle condizioni economiche base delle stesse, incluso nella sintesi contrattuale, e poste in evidenza su tutti i canali di comunicazione, garantendo adeguata evidenza sui canali utilizzati.
L’applicazione dell’adeguamento all’indice dei prezzi al consumo non può avvenire prima di 12 mesi dall’adesione contrattuale. La durata massima dei contratti non deve superare 24 mesi e sono previsti interventi a tutela della parte debole sulla proroga dei contratti, la rateizzazione di servizi e apparecchiature terminali, sulla modifica delle condizioni contrattuali (ius variandi), sui diritti degli utenti in caso di discrepanza delle prestazioni rispetto a quanto promesso nel contratto, sul diritto di recesso, sulla cessazione del rapporto contrattuale; riguardo alle informazioni contrattuali sulle procedure di migrazione e la portabilità del numero.
Gli operatori, nelle offerte, dovranno indicare tempi precisi di attivazione dei servizi; nei contratti dovranno riportare gli indennizzi a cui gli utenti hanno diritto in caso di disservizi compresi i ritardi o abusi relativi al cambio operatore e portabilità del numero e i casi in cui i tecnici dell’operatore non si presentino all’appuntamento preso con l’utente.
CONSUMATORI SODDISFATTI A META’
Non si può dire entusiastico il commento che l’Unione Nazionale Consumatori affida alle agenzie, firmato dal presidente dell’associazione Massimiliano Dona: «Abbiamo presentato mesi fa un esposto sia all’Antitrust che all’Autorità delle Comunicazioni contro le compagnie telefoniche che hanno deciso di adeguare il canone sulla base dell’indice dei prezzi al consumo – dice Dona – Anche se questo regolamento prevede più vincoli rispetto alla giungla attuale, a nostro avviso il Regolamento deve vietare del tutto questa nuova trovata delle compagnie telefoniche fatta solo per spillare soldi ai cittadini, in barba alla trasparenza dei contratti. Non solo perché grazie a questo escamotage viene privato il consumatore del diritto di recedere a fronte di un aumento senza incorrere in alcuna penale o costo di disattivazione, ma anche perchè la variazione del prezzo è indeterminata e indeterminabile, dato che nessuno può sapere oggi, con certezza, quanto sarà l’inflazione in futuro».