skip to Main Content

Ita-coin

Svb, ecco il salvataggio Usa per i depositanti (impossibile nell’Ue)

Che cosa hanno deciso le istituzioni americane sulla Silicon Valley Bank e che cosa non sarebbe possibile nell'Unione europea. L'analisi di Giuseppe Liturri

 

Nelle ore in cui Wall Street sembra reggere l’urto delle vendite dei titoli bancari e il cordone sanitario predisposto dalle autorità Usa sembra aver prevenuto ed isolato una rovinosa corsa agli sportelli da parte dei depositanti, è opportuno riflettere su quanto è stato deciso dal Tesoro Usa e dalla Federal Reserve e dal Fondo di garanzia dei depositi bancari.

Tutto quanto è stato fatto oltreoceano è una mera chimera per l’Eurozona, che non dispone nemmeno di un fondo di garanzia comune per i depositi. Nulla o poco di quanto è stato efficacemente fatto dalle autorità Usa, avrebbe potuto essere fatto in Europa, in presenza di una crisi bancaria.

Andiamo con ordine. Due i pilastri della manovra: nessun depositante (anche quelli oltre $ 250mila, inizialmente non garantiti) deve perdere un centesimo e i contribuenti non devono ripianare le perdite delle banche in difficoltà o in vero e proprio dissesto. Per giungere a questo risultato il fondo di garanzia (FDIC) ha assunto il controllo delle aziende bancarie (Silicon Valley Bank e Signature Bank) coinvolte e pagherà immediatamente tutti i depositanti fino a $ 250.000 che già beneficiano della garanzia. La parte eccedente, anch’essa eccezionalmente garantita, sarà disponibile in tempi e con forme tecniche diverse. Gli attivi della SVB sono all’incirca pari a quelli di Banco BPM, o un terzo di Unicredit ed un quarto di Intesa, giusto per avere un’idea delle dimensioni.

Il FIDC avrà tutta la disponibilità finanziaria necessaria, perché dietro di sé c’è il governo degli Stati Uniti e la illimitata capacità finanziaria della Fed. “Qualsiasi cosa necessiti”, ha ribadito il Presidente Joe Biden all’inizio della giornata.

Il contribuente non vedrà il bilancio federale gravato da oneri perché il FIDC procederà all’ordinato realizzo di tutte le attività detenute dalle banche in dissesto e con quei fondi rimborserà il governo USA e la Fed e, nel caso realizzasse delle perdite, le altre banche USA saranno chiamate a coprire la perdita “come richiesto dalla legge”. Quindi nessun bail-out, cioè salvataggio dall’esterno a carico dello Stato. Ma invece bail-in (salvataggio dall’interno) a carico di azionisti ed obbligazionisti subordinati che perderanno probabilmente tutto il capitale investito. Ma i depositanti restano indenni fino all’ultimo cent.

Per chiudere, la Fed ha reso disponibile una speciale linea di finanziamento “paracadute” per le banche, qualora sperimentassero problemi di liquidità per fronteggiare il ritiro dei depositi. In quel caso, non sarebbero costrette a vendere attività realizzando delle perdite – com’è accaduto alla SVB – ma potrebbero accedere alla linea della Fed. Per di più le banche potrebbero fornire a garanzia titoli (pubblici e non) valutati al loro valore “facciale”, quindi senza tenere conto del probabile inferiore valore di mercato, aumentando così la capacità di accesso a quei fondi.

Queste decisioni hanno stabilito un principio importante, tracciato una linea rossa invalicabile che in Europa è stato cancellato con la direttiva sul bail-in: i depositi bancari sono sicuri come una banconota. 100 dollari di deposito saranno sempre equivalenti alla banconota raffigurante Beniamin Franklin. Almeno nel loro valore nominale al lordo dell’inflazione.

Non va dimenticato che veniamo da un aumento dei tassi negli USA con pochi precedenti per rapidità ed intensità (450 punti base in 9 mesi), mentre la Bce ha aumentato di 300 punti a partire da luglio. È plausibile che qualche banca si sia trovata con problemi di costo dei depositi non allineati ai proventi degli attivi e con i depositanti che ritirano improvvisamente i fondi a caccia di rendimenti crescenti.

Ed i mercati hanno capito, con il mercato azionario USA in territorio leggermente positivo per quasi tutta la giornata ma con altre tre banche (First Republic, Western Alliance e Pacific West) che hanno accusato perdite fino al 70% per poi recuperare a -50%. Ma si tratta di movimenti che riflettono le prospettive di redditività (calanti e problematiche) per gli azionisti, mentre i depositi sono al sicuro.

In Europa, toccando ferro, cosa sarebbe accaduto? Sarebbe intervenuto il fondo di risoluzione unico (SRF) che però avrebbe chiesto, dopo aver azzerato azionisti ed obbligazionisti non garantiti, anche il sacrificio dei depositanti oltre i 100.000 €. Provocando quell’instabilità finanziaria sistemica – con una vera e propria corsa agli sportelli dei depositanti alla ricerca di una banca solvibile – che si è voluto stroncare sul nascere con le decisioni di domenica sera a New York.

Ma il SRF avrebbe potuto anche non essere sufficiente, perché ha risorse limitate e, per questo motivo – con la riforma del Mes non ancora ratificata dall’Italia – potrebbe avere accesso ad un prestito “paracadute” erogato dal Mes. Peccato che – come da ultimo osservato anche dal professore Francesco Giavazzi – si tratti sempre di risorse limitate, e quelle illimitate solo un prestatore di ultima istanza come una banca centrale può garantirle. Allora cosa accadrebbe? Nessuno lo sa, ma in molti sospettano che toccherebbe nuovamente allo Stato intervenire. Ciò che non si può fare all’inizio, evitando il diffondersi del panico e della profezia autoavverante che distrugge i bilanci delle banche, si dovrà fare alla fine, tra le macerie fumanti. Noi preferiamo lasciar montare l’onda fino a che diventi uno tsunami, ignorando che nel settore bancario la fiducia è la parte più importante dell’attivo.

E la garanzia comune sui depositi nell’Eurozona – terza gamba dell’Unione Bancaria – dov’è finita? La proposta della Commissione risale alla fine del 2015 (!?) e, da allora, ha vagato raminga da una riunione all’altra dell’Eurogruppo. Avrebbe dovuto costituire un unico pacchetto con la riforma del Mes – almeno così ci aveva fatto credere Giuseppe Conte nel 2019 o così gli avevano fatto credere a Bruxelles e lui ci aveva pure creduto – ma poi gli ostacoli applicativi si sono rivelati insormontabili e pure il Presidente dell’Eurogruppo Paschal Donohoe ha gettato la spugna.

È rimasto sul tavolo solo il Mes, che per i mercati equivale ad un bel bersaglio esposto sulla fronte degli Stati. Esattamente il contrario di quanto fatto negli Usa dove hanno cercato di stroncare sul nascere il tiro a segno dei mercati.

Back To Top