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Manovra

Storia (triste) delle clausole di salvaguardia

La ricerca del centro studi di Confindustria dal titolo "Clausole di salvaguardia alla deriva" a cura di Alessandro Fontana, Andrea Montanino e Lorena Scaperrotta

Le clausole di salvaguardia, introdotte inizialmente con il Decreto Legge 98/11 dal Governo Berlusconi, prevedono un aumento futuro e automatico di entrate tributarie nel caso in cui non vengano individuate altre misure per rispettare gli obiettivi di bilancio.

Inizialmente sollecitate dalle istituzioni europee allʼItalia per garantire il rientro prospettico del deficit di bilancio, le clausole permisero di rassicurare i mercati finanziari circa la discesa del deficit e del debito pubblico. Rappresentavano un modo per includere da subito nei saldi di bilancio risparmi provenienti da operazioni complesse la cui attuazione puntuale non poteva essere effettuata nell’immediato e il cui impatto sui conti pubblici era incerto.

Le clausole di salvaguardia introdotte per gli anni tra il 2012 e il 2021 avrebbero dovuto garantire un maggior gettito tendenziale pari a 64,8 miliardi di euro, 55,6 miliardi al 2019. Di questi, poco più della metà si è tradotto in un miglioramento del deficit tendenziale (circa 28 miliardi), per effetto dellʼattivazione delle clausole e della loro compensazione con altre maggiori entrate e minori spese. Restano ancora attivabili 28,8 miliardi tra il 2020 e il 2021, stando alla clausola di salvaguardia IVA attualmente in vigore, introdotta dal Governo Renzi e modificata ben sei volte da dicembre 2014, da ultimo con la Legge di Bilancio per il 2019 del Governo Conte.

Il crescente ricorso alle clausole e la loro sterilizzazione in larga parte a deficit ne hanno vanificato le potenzialità, creando incertezza sui conti pubblici italiani, tanto che la Commissione europea dalle previsioni formulate a maggio 2015 ha deciso di non includerne più gli effetti. Per questa ragione, occorre liberarsi quanto prima delle clausole così come sono ora, concordando con la Commissione europea una strategia di uscita che restituisca credibilità agli obiettivi di bilancio programmati. In considerazione degli effetti negativi che potrebbero avere sia lʼattivazione che lʼintero finanziamento a deficit delle clausole ancora in vigore, il Governo dovrebbe proporre alla Commissione europea un piano in cui si impegna a non introdurre nuove clausole e a coprire nel prossimo biennio una quota sufficientemente ampia di quelle ancora attive, finanziando la parte restante in deficit.

Per il futuro, l’utilizzo delle clausole può rappresentare ancora un valido strumento per avviare, nell’ambito della programmazione pluriennale di bilancio, interventi di revisione di spese e/o entrate pubbliche che per loro natura richiedono tempo; ma è cruciale che il ricorso alle clausole sia limitato ai soli casi in cui queste siano associate a tali processi.

Cosa sono le clausole di salvaguardia? Le clausole di salvaguardia sono un meccanismo di aumento di entrate automatico volto a garantire il miglioramento dei conti pubblici nel caso in cui non si realizzino misure strutturali di riduzione di spese (es. riordino della spesa pubblica) o aumento di entrate (es. razionalizzazione delle tax expenditures).

Nel loro impianto originale dovevano servire per concedere al legislatore il tempo necessario per definire interventi organici di reperimento delle risorse e contemporaneamente rassicurare gli osservatori esterni (istituzioni europee e investitori internazionali) sul miglioramento dei conti pubblici. In realtà sono derivazione diretta della necessità dei governi di rispettare le regole europee del Patto di Stabilità e Crescita che richiedono ai paesi di ridurre il deficit strutturale. Ma soltanto i governi italiani tra i paesi europei hanno introdotto meccanismi di questo tipo.

Come funzionano? Con la clausola di salvaguardia il Governo prevede in manovra una misura X che genera un aumento di entrate per il triennio a seguire, a garanzia del verificarsi di una determinata operazione politicamente o tecnicamente più complessa Y (di pari valore), in modo da assicurare il perseguimento degli obiettivi di finanza pubblica programmati. Nel caso in cui la condizione Y venga raggiunta nei termini indicati, gli obiettivi programmati sono realizzati e quindi la clausola non scatta. Se la condizione Y non viene raggiunta, per centrare gli obiettivi il Governo in teoria dovrebbe far scattare la clausola di salvaguardia, per cui si attiverebbe la misura X indicata in manovra. In realtà, nella maggior parte dei casi la condizione Y non è mai stata raggiunta (spesso neanche identificata) ma, pur di non attivare la misura X, il Governo ha deciso di sterilizzare la clausola, ossia ne ha annullato gli effetti, disponendo minori entrate in manovra che sono state finanziate attraverso: i) provvedimenti Z (quindi diversi da Y e X) che generano incrementi di entrate e/o tagli di spese; ii) aumento del deficit.

Quanto gettito avrebbero dovuto garantire? Dal 2012, anno in cui sarebbe dovuto scattare il primo aumento di entrate, al 2021 in cui dovrebbe partire l’ultimo, le clausole di salvaguardia avrebbero dovuto assicurare, complessivamente, un gettito aggiuntivo pari a 64,8 miliardi di euro, 55,6 miliardi tra il 2012 e il 2019. Ciò che si è realmente osservato è un miglioramento del deficit tendenziale di 28,4 miliardi, poco più della metà di quanto programmato. Nel caso in cui tutte le clausole fossero scattate, o le misure compensative individuate, il rapporto deficit/PIL nel 2018 avrebbe dovuto essere di 1,1 punti più basso, cioè allo 0,8 per cento1 . Questi ammontari si ottengono sommando i valori tendenziali delle clausole, così come stimati nelle relazioni tecniche ai provvedimenti legislativi che le hanno introdotte.

ECCO IL TESTO INTEGRALE DELLA NOTA DEL CSC

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