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shrinkflation

Cos’è la shrinkflation che rimpicciolisce i prodotti (ma non i prezzi)

Il fenomeno della shrinkflation è sempre più diffuso e incide sia sul potere d’acquisto dei consumatori, sia generando insoddisfazione per la riduzione della quantità o delle dimensioni.

Negli ultimi anni, sempre più prodotti di svariate categorie merceologiche – non solo gelati e biscotti – si sono ridotti nelle dimensioni, mentre i prezzi sono rimasti invariati o addirittura aumentati.

Questo fenomeno – chiamato shrinkflation (dall’inglese shrink, restringere, e inflation, inflazione) – è sempre più diffuso e incide sia sul potere d’acquisto dei consumatori, sia generando insoddisfazione per la riduzione della quantità o delle dimensioni.

Shrinkflation: esempi concreti

Alcuni esempi parlano chiaro: gelati confezionati singoli passati da 120 a 100 grammi (o meno), pacchi di biscotti da 400 a 330 grammi, flaconi di detersivo da 1 litro a 850 ml, confezioni di formaggio spalmabile scese da 200 a 190 grammi. Anche il tonno, spesso venduto in lattine visivamente identiche, può nascondere variazioni nel peso sgocciolato – sempre da controllare in etichetta. E l’elenco potrebbe continuare con patatine, snack e molto altro. In media, la riduzione di peso o volume si aggira intorno al 13–15%, anche se varia a seconda del prodotto.

Dal punto di vista economico, la shrinkflation può rappresentare — anche se non sempre — una strategia delle aziende per far fronte all’aumento dei costi di produzione, come materie prime, trasporti ed energia. Piuttosto che aumentare apertamente i prezzi rischiando di perdere quote di mercato, si preferisce ridurre le quantità offerte mantenendo invariato il prezzo.

Quando a restringersi è il prodotto, non il costo che paghiamo

La shrinkflation può assumere diverse forme: dalla riduzione del peso netto o del numero di pezzi per confezione, fino alla modifica del packaging per mascherare il cambiamento. In alcuni casi, comporta anche un calo della qualità del prodotto. Sebbene il (nuovo) peso sia ovviamente indicato sull’etichetta, la riduzione rispetto al passato non viene esplicitata, rendendo il cambiamento poco percepibile. Le aziende, infatti, sanno quanto l’aspetto visivo influenzi la percezione del valore: mantenere una confezione familiare o proporre un nuovo design più compatto può mascherare efficacemente l’effettiva diminuzione di prodotto.

I consumatori difficilmente possono apprezzare questa riduzione, che non va certo a loro vantaggio — a meno che non si tratti di una scelta volontaria, come nel caso di una dieta. In ogni caso, dovrebbe essere sempre il consumatore a decidere.

Il consiglio è semplice: controllare sempre il prezzo al chilo o al litro e confrontare attentamente le confezioni. In un periodo di alta inflazione, ogni dettaglio conta — a patto di avere tempo per leggere le etichette e di poter scegliere tra alternative.

Origini della Shrinkflation

Il termine shrinkflation è stato coniato nel 2009 dall’economista britannica Pippa Malmgren, per descrivere la pratica – già in atto da tempo – di ridurre le quantità dei prodotti mantenendo invariati (o aumentando) i prezzi. Negli Stati Uniti, questo fenomeno era stato osservato anche prima del 2009, ma ha attirato maggiore attenzione in momenti di alta inflazione, come dopo la crisi finanziaria del 2008 e, più recentemente, durante la pandemia. Prodotti come gelati, snack, cereali e bevande sono stati tra i primi a subire riduzioni nelle quantità senza una corrispondente diminuzione del prezzo.

Le Associazioni dei Consumatori si mobilitano

In Italia, diverse associazioni dei consumatori — tra cui Codacons, Unione Nazionale Consumatori, Altroconsumo, Adiconsum e Confconsumatori — hanno denunciato la shrinkflation come una pratica commerciale ingannevole. Oltre alle segnalazioni pubbliche, Codacons e Unione Nazionale Consumatori hanno presentato esposti all’Autorità Antitrust.

Le associazioni hanno inoltre avanzato proposte concrete al Garante per la sorveglianza dei prezzi (“Mister Prezzi”) per contrastare il fenomeno e tutelare i consumatori. Tra le misure richieste figura obbligo di indicare chiaramente sulle confezioni eventuali riduzioni di peso o volume rispetto ai formati precedenti. Inoltre, le associazioni consigliano ai consumatori di controllare sempre il prezzo per unità di misura, confrontare le quantità tra diverse marche dello stesso prodotto.

Iniziative Legislative

L’Italia – con la legge approvata il 12 dicembre 2024 – è uno dei primi Paesi ad aver legiferato direttamente sulla shrinkflation.  La legge introduce l’articolo 15-bis nel Codice del Consumo, volto a contrastare la shrinkflation e prevede che, a partire dal 1° ottobre 2025, le confezioni che hanno subito una riduzione di contenuto, debbano esporre per sei mesi un avviso chiaro sulla riduzione di peso apportata.  Anche in Francia sono stati fatti passi in questa direzione, con regolamentazioni volte a migliorare la trasparenza verso i consumatori e a contrastare pratiche simili.

In base alla normativa europea, la shrinkflation non è espressamente vietata né regolamentata, e pertanto è legalmente ammessa.

Conclusione

L’unica arma dei consumatori è leggere con attenzione il peso in etichetta, pretendere maggiore trasparenza ai produttori e, perché no, premiare con l’acquisto chi comunica in modo chiaro o decide di non ridurre le quantità.

Sarebbe utile un sistema di etichettatura più trasparente e semplice, anche volontario da parte dei produttori, che segnali esplicitamente la variazione delle quantità: indicazioni come “medium size”, “small size” o “large size” semplificherebbero la lettura e faciliterebbero il confronto tra prodotti simili. Qualcosa di analogo esiste già: nel comparto alimentare si possono trovare etichette come “family size” o “single serve”; nei cosmetici sono diffuse le diciture “travel size” o “full size”; nell’abbigliamento, le taglie standardizzate aiutano il consumatore a orientarsi.

Chi sceglie di comunicare con chiarezza eventuali riduzioni lo fa con un approccio di responsabilità e rispetto verso il consumatore – valori spesso proclamati, ma non sempre messi in pratica.

Dall’altra parte, le aziende che decidono di non ridurre le quantità dei propri prodotti potrebbero trasformare questa scelta in un elemento distintivo sia di comunicazione che di prodotto.

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