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Eataly

Sarà una ficata Eataly mollata da Farinetti a Bonomi?

Perché Farinetti ha ceduto il controllo di Eataly dopo il flop di Fico al fondo di Bonomi. L'approfondimento di Mario Sassi dal suo blog

 

Bernardo Caprotti, a suo tempo, era stato lapidario su Oscar Farinetti: “E certo, lui è l’uomo che sa tutto, viene qui a Milano e ci insegna cos’è il food. Sa tutto di food. Vendeva frigoriferi e televisori, ma ora è un grande esperto, è l’oracolo. È un chiacchierone formidabile”. I due non potevano certo prendersi.

L’obiettivo del piemontese non credo sia mai stato rendere profittevoli né Eataly né Fico. Era di provare a trasformare un sogno in un progetto imprenditoriale e poi arrivare esattamente dove è arrivato, cessione compresa. La pandemia ha solo accelerato la decisione. L’intuizione era corretta ma bastava fare un giro a Roma o a Milano, osservare l’utilizzo degli spazi e i prezzi praticati e poi andare alla Esselunga, al Viaggiator Goloso o alla stessa Coop per capire che il destino di Eataly era già scritto.

Farinetti è stato bravo a creare un catalizzatore di una cultura alimentare fuori dalla portata imprenditoriale dei personaggi storici che l’avevano concepita e che l’hanno inventata e difesa per anni e di far convergere intorno al suo progetto tutte le energie e le risorse necessarie. Godendo poi di una sua personale credibilità mediatica e di una rete di relazioni importante in molti territori e con una parte del mondo politico locale ha avuto, una volta messa a terra l’intuizione, una strada tutto sommato spianata propedeutica all’impresa.

L’ingaggio di Andrea Guerra ex Luxottica nel 2015 avrebbe dovuto garantire gli investitori e chiarire definitivamente la sostenibilità del business messa in discussione già allora. L’uscita del manager nel 2020 ha segnalato in modo evidente che, salvo gli USA, il resto del business non reggeva. Alberto Forchielli è stato uno dei primi a sparare ad alzo zero già nel 2018 su FICO l’altra intuizione di Farinetti (che avrebbe dovuto amplificare e sostenere Eataly) definita “la vetrina della stupidità e del giullarismo nazionale”.

Nel 2021 Antonio Galdo chiudeva il cerchio sul parco a tema bolognese scrivendo che “FICO non ha alcun legame con il territorio e, anche per l’assenza di collegamenti veloci con Bologna e innanzitutto con Milano, rischia di trasformarla sempre più in una cattedrale nel deserto”. Il resto è storia dei nostri giorni. Ci sono stato recentemente anch’io e non ne ho tratto una grande impressione. Nella relazione, riportata dal Corriere di Bologna già nel 2020, si legge che «i visitatori “italiani fuori Bologna” e stranieri sono aumentati ma la maggioranza dei clienti persi sono bolognesi, che calano del 32%». Le ricerche di mercato commissionate dalla società nel 2019 hanno rivelato che il parco non sembra avere una vera identità. «È spesso percepito dai visitatori come un centro commerciale con vendita e somministrazione di prodotti alimentari» insomma un classico centro commerciale”. E nemmeno di nuova concezione.

Fico tra l’altro non sorge a Bologna per caso. Sostituisce il Centro Agro Alimentare di Bologna (CAAB) in una zona periferica della città che progettato negli anni Settanta come piastra logistica, vide la luce negli anni Novanta già superato. Il socio di maggioranza era il Comune di Bologna. L’idea di coinvolgere Farinetti venne all’entourage del sindaco di allora, Virginio Merola, nacque così la cosiddetta “cittadella del cibo”. Purtroppo sia la scelta del luogo che del format non ha funzionato.

La versione di Oscar Farinetti sulla cessione di Eataly è ben raccontata dal Corriere la famiglia scende in Eataly, dal 58,1% al 22% del capitale, per fare entrare, con il 52%, Investindustrial, la società di investimenti di Bonomi. In realtà se all’idea togliamo l’anima resta quello che è: un semplice ristorante-mercato. Troppo caro in sé, soprattutto per i tempi che stiamo attraversando.

La regola da risolvere in questi casi è sempre uguale: “se una bottiglietta di acqua minerale costa 0,50 euro al supermercato, 3 euro al cinema e 5 euro sull’aereo ed è la stessa acqua, l’unica cosa che ne cambia il valore è il luogo dove si trova”. Quindi il tema centrale è se il luogo e la sua gestione giustificano quella differenza di prezzo. Il nuovo azionista e il CEO Andrea Cipolloni, fino a ieri alla guida di Autogrill in Italia e in Europa, di questo si dovranno occupare. Soprattutto per i Paesi diversi dagli USA dove il business funziona.

Il nuovo azionista sembra avere le idee chiare: «Il nanismo delle aziende italiane viene superato da un gruppo come il nostro con 1,6 miliardi di ebitda». Eataly Spa ha chiuso il 2021 con una perdita netta di 22 milioni, che salgono a 31 milioni a livello consolidato, a fronte di 464 milioni di ricavi a livello di gruppo. La partecipazione di Fico (EatalyWorld), il parco enogastronomico a Bologna, che finora ha perso 7,5 milioni, è stata svalutata del 100%. L’indebitamento del gruppo ha superato i 200 milioni.

L’idea che ci fosse spazio in Italia per un formato del genere si è dimostrata sbagliata. Al sud in modo particolare. Il contesto, la pandemia e la guerra non hanno ovviamente aiutato ma il problema era ed è strutturale. L’aumento di capitale (200 milioni) servirà ad azzerare il debito netto ma sostanzialmente ad acquisire il 40% di Eataly Usa in mano alle famiglie Bastianich e Saper che rappresenta il 60% del fatturato.

La condizione posta da Bonomi era di poterla gestire con un management che affrontasse i numeri con una visione manageriale. Cambieranno molte cose, questo è certo. Soprattutto in Italia.

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