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Sarà stato Tether ad aprire la porta della Casa Bianca alla Juventus e ad Elkann?

Nelle stesse ore in cui il Senato americano votava la legge pro-stablecoin (le cripto che hanno in tasca sempre più debito Usa, trend che la Casa Bianca pare intenzionata a cavalcare) Donald Trump riceveva nello Studio Ovale la Juventus (che ha per secondo azionista proprio Tether, colosso in campo cripto) e il presidente di Stellantis nonché amministratore delegato di Exor John Elkann. Criptorapporti tra Italia e Usa? La lettera maliziosa di Claudio Trezzano

Caro direttore,

non ti sarà sfuggita la foto di John Elkann che posa, non senza imbarazzo, accanto all’uomo più potente, tempestoso e imprevedibile del mondo, Donald Trump, reggendo una t-shirt a stregua di manichino dei grandi magazzini. Imbarazzo acuito anche dalle solite battute trumpiane (“Voi fareste giocare delle donne nella vostra squadra?”, ha chiesto il presidente Usa squadrando gli interlocutori che hanno balbettato un po’ prima di far presente timidamente che la Juve ha già una squadra femminile ed e pure forte, per sentirsi dire: “Immagino non le fareste giocare insieme a voi! Ok, vedo che siete diplomatici”).

John Elkann, del resto, ormai è, per usare un gioco di parole, di “casa alla Casa Bianca”, avendo incontrato più volte Trump dal suo insediamento. Chissà perché, invece, il rampollo degli Agnelli non smaniava altrettanto quando, per mantenere buoni i rapporti, occorreva fare una capatina in Parlamento a Roma: ricorderai bene, direttore, che aveva rifiutato lo scorso autunno la prima convocazione per poi limitarsi, quando alla fine – bontà sua – ha accettato, a sciorinare numeri sul fatto che il gruppo è sempre e comunque il più importante contribuente del Paese (chi vuol intendere, intenda, all’Erario). Peccato che fosse stato chiamato nella capitale per spiegare come mai nel 2024 gli stabilimenti italiani di Stellantis abbiano sfornato appena 475.090 vetture e veicoli commerciali (crollo storico che riportava ai numeri degli anni Cinquanta) contro il milione richiesto dal governo.

Attenzione, però, che sia “di casa” alla Casa Bianca non vuol dire che Elkann si senta “a casa”. E’ un privilegio che Trump concede a pochi: adora vedere gli imprenditori sulla graticola – per non parlare poi dei Capi di Stato. Basta vedere come tratta i suoi (da Apple allo stesso Elon Musk con cui pure ha sperimentato una convivenza tutta politica). Figurarsi come può trattare un europeo di cui probabilmente non sa nient’altro se non che ha in mano il destino di alcuni dei marchi più importanti dell’automotive statunitense: Chrysler, Dodge, Jeep e Ram. Peraltro, si legge continuamente che la situazione di Stellantis negli Usa non è idilliaca. Di colpo la multinazionale europea ha ceduto alle richieste del potente sindacato dell’Uaw dopo un braccio di ferro durato per tutto l’autunno proprio lo scorso gennaio (guarda caso mentre Trump si insediava alla Casa Bianca) ma questo non vuol dire che le difficoltà del Gruppo negli States siano miracolosamente sparite. I dazi dello stesso presidente americano, che vuole macchine totalmente “made in Usa” non aiutano. Anzi.

La dirigenza europea di Stellantis non stava simpatica nemmeno a un tranquillone (ugualmente protezionista: non dimentichiamoci che il suo Inflation Reduction Act permetteva gli aiuti di Stato solo alle aziende che avessero stabilito negli Usa la propria filiera) come Joe Biden, che si era fatto immortalare fianco a fianco ai lavoratori dell’Uaw in picchetto davanti agli stabilimenti di General Motors (il primo sciopero infatti riguardò pure Ford e Gm, oltre alle aziende nel portafogli del gruppo franco-italiano). Figurarsi cosa possa pensare Trump, che quando si parla di affari ragiona con lo slogan “mogli e buoi dei Paesi tuoi”. E’ un attimo che il tycoon faccia suo quanto da mesi viene urlato da Bernie Moreno, senatore repubblicano (venditore d’auto in Ohio) che, appena eletto, ha iniziato a chiedere una secessione dei marchi americani dal Gruppo. Del medesimo avviso pure Frank B. Rhodes Jr., pronipote del fondatore della Chrysler Walter P. Chrysler. Insomma, quando allo Studio Ovale siede uno come Trump, tutti camminano sulle uova.

Anche perché Moreno non si è limitato a strillare sui social. Si è fatto nel mentre promotore del Trasportation Freedom Act, la proposta di legge pensata per riportare le produzione automobilistica dentro i confini americani e frenare “l’emorragia” verso Messico e Canada. E non a caso il 26 febbraio è lo stesso John Elkann a citare il senatore repubblicano: «Siamo stati incoraggiati dall’introduzione del Transportation Freedom Act del senatore Moreno, che noi sosteniamo», a riportare la produzione negli Usa. Veniva così scritta una letterina rassicurante: «Il nostro impegno è investire nelle nostre attività negli Stati Uniti per far crescere la nostra produzione e produzione automobilistica qui» che faceva stappare lo champagne (rigorosamente californiano) alla Uaw. Indovina chi la firmava? L’allora chief operating officer del Nord America, Antonio Filosa. Oggi Ceo del gruppo.

Dove voglio arrivare?

La foto di ieri dimostra che John Elkann è disposto a tutto pur di incontrare Trump, anche a mettersi alla berlina (in Italia leoni negli Usa agnellini?), mentre non è detto che valga l’inverso. Di contro sappiamo che, attualmente, The Donald si sta innamorando delle stablecoin, le famose cripto ancorate per valore a una valuta, solitamente il dollaro. Il perché è presto detto: le stablecoin hanno accumulato importanti quantità di T-bond, ovvero i titoli di debito americani, per circa 250 miliardi di dollari. Sono il secondo maggior detentore di debito a stelle e strisce, seguendo con distacco i 2,4 mila miliardi detenuti dai fondi.

Caso strano, il Senato americano, che solo lo scorso anno aveva bocciato un tentativo di normarli, ha appena detto ok al Guiding and Establishing National Innovation for U.S. Stablecoins (GENIUS Act) che regolarizza queste stablecoin, peraltro in modo molto più blando rispetto al Mica comunitario. E il tycoon, lo ricordiamo, ha promesso di fare degli Usa la “culla delle cripto“. Il trump-pensiero sembra insomma il seguente: predispongo il terreno perché le stablecoin si stabiliscano negli Usa e faccio comprare ai soggetti che le emettono tutto quel debito statunitense che, a causa delle mie sparate quotidiane, non è più così appetibile per gli investitori tradizionali.

Che c’entra tutto questo con la Juve alla Casa Bianca? Che nella Juventus, direttore, ha appena investito Tether, la società della prima stablecoin al mondo. Una rarissima punta di diamante del mondo hi-tech dal cuore tutto italiano essendo co-fondata da Giancarlo Devasini e guidata dall’italiano Paolo Ardoino. La prima mossa della cripto nella squadra torinese lo scorso febbraio. La seconda appena due mesi dopo, in aprile, quando è salita dall’8,2% a oltre il 10,1% diventando così il secondo azionista davanti al fondo Lindsell Train (8,7%) e dietro Exor (65,4%). La partecipazione corrisponde al 6,18% dei diritti di voto. Ora, se tanto mi da tanto, l’operazione non è stata ostile, ma concordata.

Un mesetto prima, Repubblica, che attraverso Gedi risponde sempre a Exor, la holding finanziaria olandese controllata dalla famiglia Agnelli, aveva intervistato proprio uno dei due founder di Tether, Ardoino, in brodo di giuggiole per gli annunci di Trump sulle cripto: “Gli Usa hanno capito che è un’opportunità non un pericolo”.  In quell’occasione l’Ad aveva ricordato: “figuriamo tra i principali possessori di titoli del Tesoro statunitense, al diciannovesimo posto, apportando un contributo diretto alla liquidità e alla stabilità dei mercati del debito USA”.

E Trump tutto questo lo sa e ha massima cura di chi gli stabilizza il valore del debito, soprattutto in periodi di guerre commerciali che agitano gli investitori tradizionali. Questo lascia insomma intendere che chi entra nel giro di amicizie degli imprenditori che hanno avuto l’idea geniale di Tether entra pure nel circoletto di Trump. Tutto il mondo, alla fine, è Paese. Almeno per divertimento dello stesso Ardoino, il destino della Juve si era già incrociato con l’epopea trumpiana nel tweet con cui il Ceo di Tether annunciava l’ingresso nel capitale della Vecchia signora: “Make Juventus Great Again”.

 

La foto di ieri sembra ufficializzare il tutto.

Tutti felici, insomma: Trump ha chi gli compra il debito, le stablecoin avranno presto negli Usa l’ecosistema in cui crescere e prosperare quando nella vecchia Europa dovevano fare i conti con una legislazione che le guardava con eccessivo sospetto ed Elkann sembra aver trovato chi gli mette un piedino tra la porta e lo stipite della Casa Bianca.

 

Forse non tutti. Merita come chiusura di letterina l’irriverente tweet di Carlo Calenda: “Bella questa scena. Elkann con il sorriso da clown e la magliettina su misura offerta a Trump, mentre lui parla di bombardamenti e altre amenità. Direi umiliante per l’Italia. Troverete su @LaStampa @repubblica che quotidianamente attaccano Trump e la #Meloni per essere succube rispetto al Presidente USA, un duro monito per Elkann…magari domani però”.

Credo che la sintesi sia efficace. Ai giornalisti delle redazioni chiamate in causa, tutta la mia solidarietà, e pure una bustina di Maalox.

Saluti!

Claudio Trezzano

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