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Vi spiego gli strepitii di Salvini e Di Maio su euro, Bce e dintorni

I Graffi di Damato sul subbuglio che si sta creando tra i leader di Movimento 5 Stelle e Lega, Luigi Di Maio e Matteo Salvini, con i palazzi europei Altro che “spaccare l’asse tra Salvini e Di Maio”, come ha gridato in un titolo di prima pagina il Giornale di famiglia di Silvio Berlusconi. Il…

Altro che “spaccare l’asse tra Salvini e Di Maio”, come ha gridato in un titolo di prima pagina il Giornale di famiglia di Silvio Berlusconi. Il vento europeo soffiato sulla crisi di governo a Roma con moniti, preoccupazioni e quant’altro espressi contemporaneamente da tre esponenti non italiani della Commissione di Bruxelles, per non parlare dell’arrivo dei “barbari” preannunciato dal Financial Times, non hanno allontanato ma riavvicinato grillini e leghisti, apparsi sino a poche ore prima vicini alla rottura nella ricerca di un accordo. Le reazioni negative di Matteo Salvini e di Luigi Di Maio, anche di quest’ultimo, il più disinvolto nell’allontanarsi nelle scorse settimane dalle posizioni originarie dei grillini pur di scalare Palazzo Chigi, sono state concordi e immediate.

Gli istinti sovranisti dei due partiti maggiormente premiati dagli italiani -non dimentichiamolo- nelle elezioni politiche del 4 marzo scorso, sono stati non contrastati ma eccitati. Eppure Salvini e Di Maio erano apparsi spiazzati dalle indiscrezioni sul loro “contratto” di governo che riproponevano l’uscita dall’euro, o prospettavano la richiesta al governatore italiano della Banca centrale europea di scontare di 250 miliardi di euro, pari a quasi il dieci per cento, il debito pubblico accumulato a Roma. “Bozze superate”, avevano reagito dalle parti leghiste e grilline, come per scusarsi.

Nel giro di poche ore sono tornate a levarsi dai due partiti le proteste contro gli “eurocrati non eletti da nessuno”, come li ha definiti Di Maio dimenticando che i membri della Commissione Europea di Bruxelles non sono burocrati dell’Unione, assunti per concorso, ma esponenti politici delegati dai loro governi a rappresentarli negli organismi comunitari.

Se le bandiere finiscono di sventolare sui pennoni dei palazzi dell’Unione e diventano oggetti contundenti nel dibattito politico, la crisi di governo in Italia prende pieghe che neppure il presidente sicuramente europeista della Repubblica Sergio Mattarella si sente più in grado di controllare, con i nervi già messi a dura prova dalla maleducazione istituzionale degli attori e protagonisti dello spettacolo ispirato addirittura al “contratto di governo alla tedesca”. Un contratto che però è stato negoziato per mesi dalla Cancelliera in persona, uscente e rientrante, riconosciuta come tale dal primo momento anche da chi trattava con lei: qualcosa di assai diverso da ciò che sta accadendo dalle nostre parti.

Le preoccupazioni di Mattarella per la piega che gli sviluppi già troppo contorti della crisi di governo italiana potrebbero prendere si ritrovano nelle solite cronache quirinalizie del Corriere della Sera. Dove si registra l’auspicio “del Colle” per un “cambio di toni” tra “loro”, a Bruxelles, e “noi”. E si condivide il termine “ingerenze” usato da leghisti e grillini, all’unisono, contro chi segue da Bruxelles e dintorni quanto sta accadendo in Italia.

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