L’introduzione del salario minimo nel settore pubblico non provocherà impatti diretti ma qualche impatto indiretto non è escluso. A dirlo in audizione in commissione Lavoro alla Camera, dove è al vaglio il provvedimento sulla retribuzione minima oraria fortemente voluto dal Movimento Cinque Stelle e dal suo capo Luigi Di Maio, Pierluigi Mastrogiuseppe in rappresentanza dell’Aran, l’Agenzia per la rappresentanza negoziale delle pubbliche amministrazioni.
Le dichiarazioni dell’Aran arrivano nello stesso giorno in cui l’Ocse boccia l’idea del salario minimo che “non è la soluzione alla questione salariale e del mercato del lavoro italiani”. Secondo Andrea Garnero, economista del dipartimento Lavoro e Affari sociali dell’Ocse, la cifra di 9 euro lordi all’ora sarebbe “troppo alta”, la più elevata tra tutti i Paesi dell’organizzazione con sede a Parigi. Garnero ha pure notato che il salario minimo è uno “strumento legittimo, interessante e con potenzialità, ma anche con alcuni limiti”.
ARAN: IN PA NON C’È PROBLEMA DI SALARIO MINIMO
Tornando all’Aran, Mastrogiuseppe durante l’audizione ha evidenziato come il settore pubblico non abbia “un problema di salario minimo perché il contratto collettivo nazionale è unico e c’è una totale copertura dei lavoratori”. Dunque nel pubblico impiego non ci sarebbero “impatti diretti” con l’introduzione della retribuzione minima oraria di 9 euro “nonostante il lungo periodo di blocco contrattuale che c’è stato nella pubblica amministrazione”.
Tuttavia, ha notato, “occorre valutare impatti indiretti per l’acquisto di servizi privati che hanno minimi contrattuali inferiori a 9 euro l’ora. Qui vi potrebbe essere un impatto sulla pubblica amministrazione”.
ARAN: IN ITALIA PIÙ LAVORATORI A RISCHIO POVERTÀ
Nel suo intervento il rappresentante dell’Aran ha ricordato che “il salario minimo legale è presente in 22 Paesi sui 28 Paesi Ue. Nel 2019 si registra un incremento nominale molto elevato per i Paesi che hanno un livello più basso di salario minimo”.
Tra i Paesi in cui questa misura non è presente c’è proprio l’Italia che presenta “la percentuale più elevata dei lavoratori a rischio povertà ed è quello che tra il 2010 e il 2017 ha visto un incremento più elevato dei lavoratori a rischio povertà“.
Mastrogiuseppe ha pure rilevato che nei Paesi senza salario minimo legale “si osserva sempre che i minimi contrattuali risultano più elevati. Tuttavia molti studi dimostrano che una quota significativa di lavotori dipendenti anche coperti da contratti collettivi percepiscono retribuzioni inferiori ai minimi contrattuali. L’Italia risulta essere il Paese in cui la quota di lavoratori che percepiscono un salario inferiore ai minimi è maggiore”.
Articolo pubblicato su PolicyMakerMag