In molti si sono chiesti come potrà l’economia della Russia reggere a una eventuale smobilitazione militare, a conflitto ucraino concluso, vista la metamorfosi bellica della sua manifattura. Pare che il problema non si ponga, nel senso che l’assetto di guerra della produzione industriale potrebbe essere destinato a persistere, divenendo una sorta di specializzazione, pur se molto rischiosa.
Industria militarizzata
È quanto ipotizza un articolo di Bloomberg, che ritiene che Vladimir Putin consideri l’ormai ipertrofica industria della difesa come necessaria al futuro anche economico del paese. Se oggi lo sforzo bellico sta drenando risorse al bilancio statale, in futuro la vendita di armi e sistemi d’arma ad alleati come la Cina potrebbe diventare il core business di Mosca.
L’aumento di produzione militare russa è stato impressionante, ricorda l’articolo. Prima dell’invasione dell’Ucraina, nel 2022, la previsione era di consegnare a un anno circa 400 veicoli corazzati. Ora siamo a 10 volte tanto. L’innovazione ha portato a linee di produzione per droni, dopo aver inizialmente fatto affidamento su forniture iraniane. Lo scorso anno, la produzione domestica di droni è stata di 1,5 milioni di unità, contro i 140.000 del 2023.
Ovviamente, i costi di guerra sono stati e continuano ad essere enormi. Secondo dati ufficiali, le spese per la difesa tra il 2022 e il 2024 ammontano ad almeno 22 mila miliardi di rubli (pari a 263 miliardi di dollari). Tale spesa non mostra previsioni di flessione per il prossimo triennio, allargando un deficit che non appare drammatico, ammesso che i dati ufficiali del Ministero delle Finanze di Mosca siano veritieri (un grande se): nel primo semestre di quest’anno era a 1,7 per cento del Pil, salito al 2,2 per cento a luglio. La spesa per la difesa, sempre secondo il ministero delle Finanze di Mosca, nel 2025 sarà pari al 6,3 per cento del Pil, nuovo massimo dalla Guerra Fredda.
Il ministero ha dichiarato che la spesa pubblica nel primo semestre 2025 è aumentata del 20,2 per cento, mentre le entrate sono cresciute solo del 2,8 per cento. Le entrate energetiche della Russia sono diminuite del 17 per cento rispetto allo stesso periodo dell’anno scorso. Il governo ha ridotto del 24 per cento la stima delle entrate energetiche per il 2025, prevedendo un periodo prolungato di prezzi del petrolio bassi.
Più export di armi per quadrare i conti
Per pareggiare il bilancio, il governo russo ipotizzava a luglio di attingere alle proprie riserve fiscali per 447 miliardi di rubli, pari a un decimo degli attivi liquidi disponibili nei fondi sovrani. Giorni addietro, è stata comunicata la volontà di aumentare l’equivalente dell’Iva per due punti percentuali, oltre ad altre forme di imposizione indiretta. Interessante notare che, almeno sinora, Putin ha preferito pareggiare i conti in modi economicamente ortodossi, nel senso di lasciare libera la banca centrale di reprimere l’inflazione con una politica di alti tassi d’interesse, e non ha cercato la via della monetizzazione del deficit. A proposito di coperture creative, restano sempre a disposizione le confische a oligarchi indisciplinati, s’intende.
Ci sono corsi e ricorsi storici, nell’eventuale decisione di non smobilitare al termine delle ostilità in Ucraina. L’entrata dell’Unione Sovietica a un regime di guerra nel 1941 ha gettato le basi per diventare un importante venditore di armi globali una volta terminati i combattimenti, secondo Tatiana Orlova di Oxford Economics. “La guerra in Russia e Ucraina è diventata un enorme campo di prova per nuove armi e tecnologie,” ha commentato.
Quando il conflitto terminerà o entrerà in una fase di congelamento, secondo l’analista, “è probabile che entrambe le nazioni esporteranno tecnologia ed equipaggiamenti che si sono rivelati più efficaci”. Già oggi, nella Ue, c’è chi vorrebbe fare dell’Ucraina uno dei propri maggiori fornitori di sistemi difensivi.
Dopo un periodo di fermo causato dal pesante drenaggio degli stock di armi e munizioni per il conflitto, Mosca sta tornando a partecipare a fiere di armi in India, Cina, Medio Oriente e Africa. Per la prima volta in sei anni, le armi russe sono state presentate a esposizioni in Malesia e Brasile. Le offerte spaziano su tutta la gamma di attrezzature militari. Offerti anche trasferimenti di tecnologia e produzione congiunta.
L’esportatore di armi statale Rosoboronexport, che gestisce circa l’85 per cento delle vendite estere, afferma che la forte domanda ha portato il suo portafoglio ordini a un record di 60 miliardi di dollari, garantendo così alle fabbriche una lunga prospettiva di produzione. Secondo stime del Center for Analysis of World Arms Trade, centro ricerche indipendente basato a Mosca, la Russia potrebbe esportare annualmente tra i 17 e i 19 miliardi di dollari di equipaggiamento militare nei primi quattro anni dopo la fine della guerra in Ucraina. La maggior domanda è attesa dal cosiddetto Sud Globale, dove si vuole evitare la dipendenza dagli Stati Uniti. Il balzo della produzione industriale militare russa ha prodotto economie di scala che rendono le esportazioni potenzialmente più competitive sui prezzi.
Percorso rischioso
Ma non è tutto semplice o privo di rischi. I paesi clienti potrebbero subire pressioni dagli Stati Uniti simili a quelle esercitate nei confronti dell’India per cessare gli acquisti di greggio russo. Secondo alcuni analisti, poi, le esportazioni sono insufficienti per mantenere i livelli produttivi attuali, quindi uno shock economico da smobilitazione anche parziale non può essere escluso.
Putin ne è consapevole e sta spingendo per sinergie tra settore della difesa e industria civile, attraverso le cosiddette produzioni dual use in settori quali cantieristica, aviazione, elettronica, attrezzature mediche e agricoltura. Malgrado questi grandi programmi, è difficile sfuggire all’impressione che le forniture per il mercato di consumo mass retail, dalle auto in giù, finiranno col provenire in misura crescente dalla Cina.
Come che sia, pare evidente che la scelta del Cremlino è quella di mantenere le forze armate ad un elevato grado di prontezza da combattimento. Quindi il ruolo della spesa per la difesa resterà rilevante e la composizione dell’economia russa orientata in tal senso.
Nel frattempo, la Russia dovrà fare attenzione alla dinamica delle entrate da energia, dove la situazione non è esattamente esaltante. Sul gas, il bilancio di previsione del ministero dell’Economia prevede un prezzo medio per le vendite alla Cina inferiore del 27 per cento a quello destinato alla Turchia e ai residui clienti occidentali. Per il 2025, tale sconto è del 35 per cento.
Anche la produzione petrolifera è in crescente affanno: i più prolifici giacimenti di petrolio della Russia sono concentrati nelle regioni della Siberia occidentale e del Volga-Urali, che tradizionalmente costituiscono la maggior parte della produzione di greggio del paese. Ma il petrolio si sta esaurendo rapidamente anche in queste aree. Le speranze di produzione della Russia si basano su vasti giacimenti artici, ma le condizioni meteorologiche estreme e la geologia ostile rendono l’estrazione costosa e lenta. Le sanzioni stanno inoltre ostacolando lo sviluppo di nuovi campi siberiani. Con il calo delle riserve petrolifere, ci sono sempre meno posti dove cercare alternative perseguibili in un contesto di aumento dei costi, carenza di equipaggiamento tecnologicamente avanzato e rarefazione della forza lavoro specializzata.
Tutti ostacoli che possono essere superati… vendendosi alla Cina.
(Estratto dal blog Phastidio)