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Ecco la vera sfida del nuovo contratto dei metalmeccanici

Rinnovo del contratto dei metalmeccanici: sarebbe un errore la detassazione dei piccoli aumenti nazionali in quanto aiuterebbe solo la conservazione del vecchio impianto centralista ed egualitarista. Il Canto Libero di Sacconi pubblicato su QN.

Il contratto nazionale per i lavoratori metalmeccanici regola il settore industriale più esteso e a maggiore intensità di lavoro. Il suo rinnovo sconta quindi, più che altrove, le difficoltà conseguenti alla fine della omologazione delle imprese.

I lavoratori della filiera dell’auto in crisi e delle grandi società quotate hi-tech possono avere in comune solo le tutele fondamentali come il recupero dell’inflazione e le prestazioni sanitarie o previdenziali complementari dei grandi fondi bilaterali. Tutto il resto, inquadramenti compresi, dovrebbe essere disciplinato dagli accordi territoriali (per i distretti produttivi), aziendali, individuali.

Il sindacato obietta che solo le medio-grandi imprese, quindi una minoranza di lavoratori, hanno questi contratti. La rappresentanza datoriale, Federmeccanica, ha ora accolto questa obiezione proponendo, in assenza di contratti prossimi, aumenti automatici in tutte le imprese in cui cresce il margine operativo lordo.

Ora la ripresa del negoziato, favorita dal governo, dovrebbe in primo luogo sciogliere questo nodo in termini di entità degli aumenti e di condivisione dei criteri che li giustificano. Sarebbe non solo una soluzione importante per questo contratto, ma anche un precedente decisivo per il cambiamento della contrattazione collettiva.

I lavoratori tutti, oltre agli elementi garantiti dal contratto nazionale, potrebbero finalmente accedere ad una modalità certa di distribuzione della ricchezza dove (e dopo che) si è prodotta, superando il tradizionale egualitarismo dei piccoli aumenti nazionali spalmati su tutti che ha fatto così bassi i salari mediani. Questi finalmente crescerebbero con i risultati aziendali e ne risulterebbe incentivata la contrattazione decentrata.

Il governo potrebbe aggiungere la semplificazione della attuale disciplina fiscale sui premi aziendali, oggi tassati con l’aliquota definitiva del 5% ma solo nei casi in cui è possibile dimostrare l’incremento della produttività rispetto all’anno precedente.

Sarebbe, al contrario, un errore la detassazione dei piccoli aumenti nazionali in quanto aiuterebbe solo la conservazione del vecchio impianto centralista ed egualitarista. Il bivio è questo.

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