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Small Business Act

Rilanciare lo Small Business Act (SBA) per favorire la crescita delle MicroPMI

Le MicroPMI attive sono circa 4,5 milioni e rappresentano il 99,9% del totale imprese oltre a costituire circa il 50% dell’occupazione e delle esportazioni. Ma che fine ha fatto lo Small Business Act? L'intervento di Giuseppe Capuano

 

Gli economisti hanno da tempo evidenziato l’esistenza di una correlazione diretta tra l’aumento della propensione all’imprenditorialità di una economia e/o un territorio e la crescita del Pil. Partendo da questo assunto e considerando che le MicroPMI sono il motore dell’economia italiana, al fine di favorire la crescita e l’occupazione e, allo stesso tempo, di ridurre gli squilibri territoriali, occorrerebbe creare un ambiente favorevole all’irrobustimento delle imprese già esistenti e alla nascita di nuove imprese attraverso il sostegno delle filiere produttive e le reti di impresa per l’innovazione e l’internazionalizzazione.

Solo qualche dato per sottolineare l’importanza che le imprese di più piccole dimensioni rivestono nella struttura produttiva nazionale: le MicroPMI attive (da 1 a 249 addetti) sono circa 4,5 milioni e rappresentano il 99,9% del totale imprese e le imprese con meno di 10 addetti hanno un peso pari al 95,1%. Esse costituiscono circa il 50% dell’occupazione e delle esportazioni.

L’Italia, per queste ragioni, sin dall’approvazione della Comunicazione della Commissione europea del 25 giugno 2008 “Pensare anzitutto in piccolo. Uno Small Business Act per l’Europa” (SBA), ha sempre mostrato una forte attenzione verso le imprese di piccole e piccolissime dimensioni. Ne è testimonianza il fatto che, primo in Europa, il nostro Paese ha approvato nel maggio del 2010 la Direttiva del Presidente del Consiglio dei Ministri di attuazione dello SBA, riconoscendo il ruolo centrale delle MicroPMI nel tessuto dell’economia italiana e la loro peculiarità anche rispetto a molti Paese europei come la Germania e i Paesi del Nord Europa.

Grazie alla Direttiva, che nei suoi aspetti tecnici fu seguita dagli uffici del Ministero Sviluppo Economico dell’epoca e io ebbi l’onore di far parte di quel gruppo, si dette il via ad una “nuova politica produttiva” riferita soprattutto alle micro e piccole imprese più vicina alle loro esigenze secondo un modello organizzativo di rete.

Le proposte di policy scritte nello SBA si basavano sul principio dello “Think first small” ossia “Innanzitutto pensare in piccolo”, che riconosceva il ruolo cruciale dei 23 milioni di PMI europee per l’economia dell’Unione e richiedeva interventi di semplificazione amministrativa, di riduzione degli oneri amministrativi, di apertura dei mercati e di sostegno delle potenzialità di sviluppo per questa categoria di imprese sulla base di 10 principi “guida” (interventi di contesto e interni all’impresa) dove spiccavano i concetti di imprenditorialità, facilitazione della partecipazione agli appalti delle PMI, pubblica amministrazione ricettive nei confronti delle imprese, finanza e credito, competenze e innovazione, energia, ambiente e internazionalizzazione, formazione.

Il legislatore, inoltre, al fine di attuare la Direttiva SBA, nel novembre 2011 approvò la Legge 180/2011 (Statuto delle imprese) nella quale, tra gli altri, all’art. 17 istituiva il “Garante per le micro, piccole e medie imprese”, portavoce delle esigenze delle MicroPMI italiane anche presso la Commissione Ue. Lo Statuto delle imprese stabiliva anche una “riserva” automatica del 60% degli incentivi che doveva essere destinata alle MicroPMI e alle reti di impresa. Purtroppo questa Legge, solo qualche anno dopo, fu dimenticata in qualche cassetto ministeriale.

In quegli anni, lo stesso MISE, al fine di seguire operativamente l’attuazione dello SBA, si dotò di una divisione dedicata che fui chiamato a dirigere. Essa realizzava, tra le sue molteplici attività, un report annuale sulla sua attuazione (premiato come best practice dalla Commissione Ue). Inoltre, si istituì un “Tavolo permanente per le PMI” che operava in stretto contatto con la Commissione Ue e con le Associazioni di categoria con il compito di realizzare nuove proposte operative a supporto delle piccole imprese e di vigilare sulla corretta attuazione dei principi dello SBA. Ad oggi la divisione è stata accorpata ad altre e si è persa nei meandri delle varie riorganizzazioni che il MISE ha conosciuto dal novembre 2014 ad oggi e il “Tavolo” è totalmente non operativo.

Lo SBA fu prima di tutto un cambiamento culturale che diede legittimazione e valore alle nostre piccole imprese che per una volta si sentirono protagoniste delle policy, ascoltate dalle Istituzioni e padrone del proprio destino.

Purtroppo, dopo circa 12 anni dalla approvazione del DPCM e nonostante i notevoli risultati conseguiti e i benefici apportati alle imprese, occorre constatare che lo SBA è caduto colpevolmente nel dimenticatoio. E non da ora ma già da qualche anno.

Nello stesso PNRR, infatti, non ve ne traccia né come modello di riferimento né come indicazione storica relativamente alle policy che ad esso si sono “inconsapevolmente” ispirate, nonostante che l’acronimo PMI fosse citato per ben 19 volte. La ingiustificata assenza potrebbe essere spiegata anche dalla probabile non conoscenza della stessa esistenza dello SBA da parte di coloro che materialmente hanno redatto il Piano.

Oggi, però, si potrebbe avere una importante occasione per riprendere quel clima culturale favorevole allo SBA e alla MicroPMI con il “cambio della guardia” ai vertici del MISE, oggi Ministero delle Imprese e del Made in Italy. Sarebbe molto importante per le MicroPMI italiane se si potesse riprendere, oggi, quel percorso prematuramente interrotto.

Lo SBA è costituito da un impianto normativo e da principi ancora oggi attuali e utili alle imprese soprattutto di più piccole dimensioni in questo particolare momento della storia economica e non solo (vedi guerra tra Russia e Ucraina), segnato da una alta inflazione da costi e/o importata dovuta soprattutto all’aumento del prezzo delle materie prime e dell’energia e da tassi di interesse crescenti che ci porteranno ad una probabile recessione nel 2023, non solo in Italia.

Ripartire, quindi, seguendo un percorso di immediata attuazione (non occorrono approvazioni di nuove norme) e a costo zero per la finanza pubblica, molto apprezzato dalle imprese, anche da quelle di più grandi dimensioni in una ottica di filiera. Con un unico obiettivo: non prevedere il futuro ma realizzarlo.

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