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Reddito Di Cittadinanza

Riformare (bene) il Reddito di cittadinanza: fatti e consigli

Ecco le ultime novità delle bozze sulla riforma del Reddito di cittadinanza, che dovrebbe denominarsi MIA. L’articolo di Alessandra Servidori

 

Sul Reddito di cittadinanza girano le bozze delle “novità” che dovrebbero essere discusse, ufficialmente approvate dal ministro Roberto Calderone e poi mandate in CDM.

Per ora, a una attenta lettura delle interviste e delle righe a disposizione, registriamo che – al netto delle risorse della legge di bilancio per sostenere il costo delle bollette e non per l’assegno unico che è già stato finanziato con la legge di bilancio precedente -, le risorse per il RDC che dovrebbe denominarsi MIA sono destinate a una platea del 30 % in meno.

Ciò in conseguenza dell’Isee abbassato da 9.360 euro a 7.200 per la domanda di possibili percettori del sussidio, prevedendo l’incrocio tra domanda e offerta di lavoro e, quindi, formazione per essere occupati affidata all’ennesima nuova piattaforma digitale in capo ad Anpal (ingessata perché in preda a cambio di direzione) e comunque piattaforma che esiste già ma fino a ora non ha dato segni di virtuoso funzionamento.

Anzi. Lo slogan comunque legato alla politica è che i percettori del sussidio devono essere ridotti. Sappiamo bene che l’errore di fondo è confondere i sussidi per la povertà con le politiche attive. È qui la questione ed è legata a una diminuzione da 8,8 miliardi a 7 miliardi senza una riforma vera e propria ma con una certa confusione.

Una riforma complessiva è necessaria e possibile ma non a spezzoni, come si sta procedendo. Rischiamo il dissanguamento delle risorse che in questi anni abbiamo speso, cioè ben 15 miliardi, per il circuito dei centri per l’impiego regionali senza avere risultati sull’occupabilità. Anpal ha fallito già con i Navigator che non riescono neanche a essere assunti dalle Regioni.

Noi prima di tutto dobbiamo avere i dati certi dai territori di chi è veramente in povertà, dobbiamo fare subito un lavoro di censimento, e stabilire che la soglia di povertà ha situazioni diverse: per esempio, un anziano solo, non autosufficiente, in una città ha chiaramente bisogno di sostegni diversi da altri e solo chi è sul territorio, istituzioni e terzo settore, sanno darti il criterio di orientamento e offrire un sostegno personalizzato.

Per le politiche attive per contrastare la disoccupazione abbiamo bisogno di una pluralità di operatori sul territorio per la formazione perché sappiamo bene quali sono le richieste delle aziende di basse qualifiche ma anche di alta formazione, tuttavia, i tre quarti dei percettori di reddito di cittadinanza ha solo la terza media e spesso neanche quella.

Dunque, come investire i 4,2 miliardi per formazione del Pnrr e Gol?

Devono essere spesi nel migliore dei modi e sappiamo bene che la politica degli sgravi alle aziende per assumere stabilmente NON funziona, anche perché non è il bene dell’azienda che chiede percorsi di nuove figure professionali formate. È come drogare il mercato con il metadone.

Dobbiamo subito procedere alla riforma del Titolo V della Costituzione del 2001, che va cambiata, perché questa confusione tra poteri dello Stato e delle Regioni e dei territori in 22 anni in materia di politiche attive e anche sanità NON ha funzionato e ci ha dissanguato.

Mettere mano e subito all’Art. 117 della Costituzione, chiarendo il ruolo dello Stato e delle Regioni e soprattutto della Conferenza Stato-Regioni, è fondamentale. Partire da lì è possibile se la politica ha coraggio.

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