È stato raggiunto in sede di Ministero del Lavoro l’accordo per il rinnovo di 4 mesi (due più due) del contratto che riguarda 1900 navigator, quella categoria dei “procacciatori di impiego” per i percettori del Reddito di Cittadinanza (RdC) voluti tenacemente dai 5S e da Di Maio e Conte in particolare.
Nati nel 2019 per supportare i Centri per l’impiego in relazione all’applicazione della normativa che prevede un supporto a favore dei beneficiari del RdC, i loro contratti a termine erano in scadenza il 30 aprile.
La progressiva stabilizzazione dei navigator attraverso la ristrutturazione e il rafforzamento dei centri per l’impiego da parte delle Regioni, prevede a regime un organico complessivo di ulteriori 11.600 unità.
Si registra il commento raccolto dalla stampa del segretario generale della UIL Pierpaolo Bombardieri: “C’è un primo risultato positivo. Il Ministro Orlando si è assunto l’impegno a ricontrattualizzare con Arpal i servizi per questi lavoratori con una proroga di due mesi più due mesi, per avere la possibilità in questi giorni di discutere come utilizzare questi professionisti rispetto ai tanti impegni delineati anche dal PNRR… il Ministro Orlando ci ha messo la faccia e si è impegnato personalmente. È una parziale vittoria”.
Al riguardo, premesso che occorrerebbe specificare a quale professionalità faccia riferimento il Segretario generale della UIL, visto che i navigator hanno finora “navigato” a vista e “motu proprio” (cioè dandosi da fare per orientarsi in un ginepraio di burocrazia, toccando con mano lentezze procedurali, labilità di posti di lavoro da reperire per i percettori del RdC) all’interno dell’inefficienza del Centri per l’impiego, noi che ci siamo occupati per due anni delle problematiche relative alle tutele dei lavoratori fragili, non abbiamo mai registrato tanta solerzia e soddisfazione né da parte del Ministro del Lavoro né dei suoi colleghi della Salute e delle Disabilità, né da parte dei Sindacati sulla continua rincorsa (spesso con effetti retroattivi recuperati in extremis) per mettere al sicuro lavoratori chemioterapici, invalidi ed immunodepressi: forse ci sarà sfuggito ma non abbiamo letto su organi di stampa un commento, una rassicurazione, una presa di posizione, un sollecito, una proposta o una protesta.
Ciò premesso siamo ben lieti che dei navigator buttati allo sbaraglio del “fai da te” qualcuno cominci a pensarci seriamente: il problema del loro utilizzo è stato sempre accantonato o rinviato, così come il controllo che dovrebbe essere esercitato su chi beneficia del RdC rifiutando opportunità di lavoro non gradite inoltre su come vengano assegnate e con quali criteri le quote di reddito.
In un Paese dove il decreto milleproroghe è ormai un elemento fisso a latere del DEF, un bacino di ripescaggio per oboli, concessioni, rinnovi di spesa pubblica infilando nel calderone degli emendamenti parlamentari provvedimenti in extremis e spesso prebende di tipo clientelare, un malcostume ormai consolidato, si crea l’immagine di una Italia dei “bonus senza controllo”.
C’è un contentino, un bonus appunto, per ogni occasione.
Sul RdC infatti è opportuno ricordare la Ricerca della Sapienza del 2020 su “Politiche e misure della povertà: il reddito di cittadinanza”. Il decreto che introduceva il RdC prevedeva infatti il “principio di condizionalità” cioè l’obbligo di accettare almeno una delle tre offerte di lavoro congruo proposto. Ciò si scontra con la realtà sociale del Paese, dove il lavoro è carente e non può essere inventato per giustificare l’erogazione del RdC, ciò che non scioglie i dubbi di identità su una politica attiva del lavoro e una misura assistenzialistica. In un sistema Paese in cui la ricerca di un lavoro segue per il 90% dei casi dei percorsi informali (conoscenze, famiglia, amicizie ecc.), il RdC risulta una misura ambigua, peraltro supportata da Centri per l’impiego fatiscenti, da ricostruire poiché avulsi dal nesso che lega domanda e offerta. Ma non potrebbe esser stata scritta conclusione più eloquente e pertinente di quella usata dal compianto Prof. Sgritta, alla quale mi affido ancora oggi per ogni opportuna riflessione. “Che il Rdc sia finanziariamente sostenibile prima e dopo il 2021, stante la situazione economica e l’instabilità del quadro politico, è al momento imprevedibile; che possa contribuire a semplificare la giungla delle indennità, degli assegni, dei sussidi nazionali e locali, anche questo è, allo stato, improbabile. Ciò che certamente non potrà fare è abolire la povertà”.
Nell’incipit della Ricerca ci si chiedeva peraltro come mai – anziché imbarcarsi in una nuova previsione normativa densa di incognite per la politica, l’amministrazione e gli stessi aspiranti beneficiari – non sia stato dato seguito ad un ampliamento migliorativo del REI (il reddito di inclusione) già esistente: soluzione più semplice e consequenziale rispetto a questa nuova via intrapresa che evidenzia d’impatto lacune di stima e procedurali in ordine alla visione istituzionale e alla realtà sociale del Paese.
Questa riflessione dovrebbe indurre ad un radicale ripensamento sul Reddito, i criteri di assegnazione, la correlazione tra dazione e opportunità di occupazione (nel discrimine tra assistenzialismo e offerta di lavoro), responsabilità, professionalità e competenze manifeste dei ‘navigator’, oltre ai criteri per il loro reclutamento, per l’indirizzo e il controllo della loro attività da parte dei Centri per l’impiego affinché non siano considerati ‘liberi professionisti a gettone’ per ogni lavoro procacciato ma dipendenti pubblici con diritti e doveri definiti.
Per come sono andate finora le cose non basta una semplice proroga: sarebbe opportuna una Commissione parlamentare ‘ad hoc’ di indagine, raccolta e analisi dei dati, comparazioni statistiche e valutazione dell’efficienza-efficacia di questo sistema affinché non scivoli lentamente nel dimenticatoio delle consuetudini senza controllo, ad impinguare e ulteriormente rallentare una burocrazia già negativamente mastodontica, improduttiva ed eloquente di per sé.