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Private Equity o Borsa. Cosa insegna il caso Ala

Il fondo di private equity HIG ha comprato ALA, società quotata all’EGM. Ne seguirà quindi un’OPA e il delisting. Il fondo è estero e fra qualche anno, quasi sicuramente, la rivenderà a qualche operatore che non potrà che essere estero, visti i valori in gioco. L'intervento di Alberto Gustavo Franceschini Weiss, presidente di Ambromobiliare, società di consulenza in finanza strategica

 

Per anni, l’ingresso di un fondo di private equity nell’azionariato di una PMI è stato presentato – e spesso percepito – come un passaggio quasi necessario prima dell’approdo in Borsa. Un modello narrativo consolidato, secondo cui:

  • il fondo apportava i primi capitali per sostenere la crescita;
  • imponeva un processo di strutturazione interna, migliorando le procedure di pianificazione e controllo;
  • affiancava l’imprenditore nell’introduzione di una governance più evoluta, spesso attraverso patti parasociali restrittivi ma considerati “formativi”.

Dopo 4-5 anni di questa “cura”, si sosteneva che la PMI fosse finalmente pronta per affrontare il mercato dei capitali pubblici.

Questa visione, tuttavia, è stata superata, anzi ribaltata e, alcuni casi recenti, tra cui quello di ALA – Advanced Logistics for Aerospace, lo dimostrano in modo evidente. La realtà odierna è ben diversa: non sono più i fondi a preparare le imprese alla Borsa, ma è sempre più spesso la Borsa a preparare le imprese per i fondi.

Negli ultimi anni, un numero crescente di fondi di private equity ha scelto di acquisire aziende già quotate su Euronext Growth Milan (EGM), e non il contrario. Solo negli ultimi quattro anni, decine di PMI quotate sull’EGM sono state oggetto di operazioni di buyout da parte di fondi, sia italiani che internazionali.

Questa dinamica suggerisce una verità spesso sottovalutata: la quotazione in Borsa, lungi dall’essere un punto d’arrivo post-private equity, è oggi uno strumento strategico e autonomo di crescita, strutturazione e valorizzazione aziendale.

La Borsa oggi è diventata, in un certo senso più vantaggiosa (e meno invasiva) del cd “private equity”.

L’esperienza concreta delle PMI già quotate mostra che il mercato dei capitali pubblici offre vantaggi comparabili – e in molti casi superiori – rispetto a quelli derivanti da un’operazione di private equity:

  • Capitale flessibile e modulare: la quotazione consente di accedere a capitali più ampi e diluiti nel tempo attraverso aumenti successivi. Oltre il 60% delle PMI quotate su EGM ha già effettuato uno o più aumenti di capitale post-IPO.
  • Governance evoluta, ma autogestita: le imprese quotate adottano assetti organizzativi e sistemi di controllo per obblighi normativi e per scelta strategica, non per imposizione di un partner. Questo favorisce una trasformazione interna più organica e percepita come molto meno coercitiva.
  • Massima trasparenza: bilanci certificati, semestrali pubbliche, comunicati price-sensitive e copertura analitica periodica rendono la società più leggibile e valutabile da parte di qualsiasi investitore professionale.
  • Reputazione e visibilità: la quotazione conferisce un profilo istituzionale elevato che nessun fondo di private equity, per quanto prestigioso, può replicare. Questo rappresenta un asset reputazionale distintivo e spesso decisivo in ottica di M&A.

In altre parole, la PMI quotata si presenta al mercato – e anche a eventuali fondi interessati – come un soggetto già “due diligenced”, continuamente monitorato, trasparente e valorizzabile con maggiore facilità.

Il caso ALA: numeri alla mano

L’operazione di acquisizione di ALA S.p.A. da parte del fondo H.I.G. Capital è emblematica. L’azienda si è quotata su EGM il 20 luglio 2021, con un prezzo IPO di 10 euro per azione. Al momento dell’annuncio dell’OPA da parte del fondo, il titolo è stato valorizzato a 36,5 euro, generando per gli investitori iniziali un rendimento (IRR) di oltre il 35% annuo composto. Un risultato che – va detto con franchezza – molti fondi di private equity faticherebbero a eguagliare, se considerati al netto delle commissioni e dei vincoli di lock-up.

Conclusione

Quando un imprenditore afferma: “Non siamo ancora pronti per la Borsa, prima dobbiamo farci accompagnare da un fondo di private equity”, spesso non si rende conto che sta regalando valore. Sta rinunciando al controllo, a una parte significativa dell’equity e a un percorso di crescita che può essere invece gestito in autonomia, con tempi e modalità più coerenti con la visione imprenditoriale.

La realtà oggi è chiara: la Borsa non è il punto di arrivo dopo il private equity. È diventato, ormai, il punto di partenza. E i fondi, lungi dall’essere formatori, diventano acquirenti finali di imprese che proprio la quotazione ha reso più forti, più trasparenti e più desiderabili.

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