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Italia Ue

Ecco tutte le previsioni sballate di Bruxelles sui conti pubblici dell’Italia negli ultimi anni

L’articolo di Antonio Grizzuti del quotidiano La Verità È guerra di cifre tra la Commissione europea e il governo italiano. La pubblicazione delle consuete previsioni autunnali, caso mai ce ne fosse bisogno, ha segnato in maniera ancora più netta la crescente distanza tra Roma e gli euroburocrati. «Dopo la solida crescita registrata nel 2017», si…

È guerra di cifre tra la Commissione europea e il governo italiano. La pubblicazione delle consuete previsioni autunnali, caso mai ce ne fosse bisogno, ha segnato in maniera ancora più netta la crescente distanza tra Roma e gli euroburocrati.

«Dopo la solida crescita registrata nel 2017», si legge in apertura, «l’economia italiana ha rallentato a partire dalla prima metà dell’anno per via del calo delle esportazioni e dell’indebolimento della produzione industriale».

Per quanto riguarda l’anno in corso, la crescita del Pil è fissata all’ 1,1%, il debito pubblico al 131,1%, mentre il deficit è previsto attestarsi all’1,9%. Ma il peggio deve ancora venire. Nel 2019 il deficit dovrebbe schizzare al 2,9%, mentre la crescita dovrebbe rimanere stagnante all’ 1,2%. Tutta colpa, scrivono da Bruxelles, delle misure programmate dal governo.

«La spesa pubblica», si legge nel focus dedicato all’Italia, «crescerà significativamente a seguito dell’introduzione del reddito di cittadinanza, di una maggiore flessibilità per i pensionamenti anticipati, e per l’ aumento degli investimenti pubblici». Per effetto di questi provvedimenti, nel 2020 il rapporto deficit/Pil dovrebbe addirittura sforare il parametro previsto dal Patto di stabilità e crescita, attestandosi al 3,1%.

Uno scenario che prende in considerazione «l’incremento dei rendimenti sui titoli sovrani, risparmi più bassi derivanti dalla spending review e l’ aumento della spesa pubblica come conseguenza del rinnovo dei contratti dei dipendenti pubblici». Sul versante del debito pubblico, a causa del combinato disposto tra deterioramento fiscale e scarsa crescita, questo è previsto rimanere costante intorno al 131%. Nella giornata di ieri è intervenuto anche il Fondo monetario internazionale, confermando le stime per la crescita italiana all’ 1,2% per il 2018, all’ 1% per il 2019 e allo 0,9% per il 2020.

Numeri totalmente diversi da quelli dichiarati dall’esecutivo nel Documento programmatico di bilancio (Dpb) inviato a Bruxelles lo scorso 16 ottobre. Secondo il Mef, infatti, la crescita dovrebbe attestarsi all’ 1,5% nel 2019 e all’ 1,6% nel 2020, mentre per l’ anno prossimo il deficit rimarrebbe contenuto al 2,4%.

Ma le previsioni Via XX Settembre risultano ottimistiche anche per ciò che concerne la prospettiva di riduzione del debito. Un calo che, seppur modesto, dovrebbe portare l’ indebitamento al di sotto della soglia del 130% già nel 2020 (128,1%). Non meraviglia, dunque, la reazione del ministro dell’ Economia, Giovanni Tria, che definisce le previsioni della Commissione europea relative al deficit italiano in «netto contrasto con quelle del governo italiano» e frutto di una «analisi non attenta e parziale del Dpb».

Le sciagure profetizzate nelle previsioni autunnali fanno parte della strategia del terrore messa in campo dai burocrati per aumentare la pressione nei confronti del governo. Non si può dire, però, che si tratti di un’arma particolarmente affilata.

Come si legge nella tabella qui sopra, andando a ritroso negli anni, infatti, è facile osservare come nella stragrande maggioranza dei casi le ipotesi della Commissione si siano rivelate infondate. Mettendo a confronto i dati reali con le stime degli ultimi cinque anni relative a deficit, debito pubblico e crescita, si rileva che a Bruxelles hanno azzeccato una sola volta su quindici: eravamo nel 2017, con un deficit previsto, e poi confermato dalla realtà, al 2,4% del Pil.

A volte l’errore è stato per difetto, altre per eccesso, ma si capisce bene che finché ci troviamo nel campo delle possibilità questi numeri lasciano il tempo che trovano. Sarà anche per questo motivo che, nonostante i consueti proclami e le ormai abituali minacce, anche ieri lo spread è rimasto stabile sotto quota 300, chiudendo a 294.

 

Qui l’articolo integrale

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