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Popolare Vicenza

Popolare Vicenza e Veneto Banca, che cosa il governo non riuscirà a fare per i cosiddetti truffati

Ecco numeri, obiettivi e problemi sui rimborsi ad azionisti e obbligazionisti di Popolare di Vicenza, Veneto Banca e non solo. Il commento di Giuliano Cazzola

 

È parecchio discutibile –come dispongono le norme previste dalla legge di bilancio (commi 256-261) attraverso l’istituzione del Fondo di ristoro per i risparmiatori dotato di uno stanziamento di oltre 1,5 miliardi in un triennio– che tocchi allo Stato risarcire quegli investitori che hanno subito un danno ingiusto in relazione a specifiche operazioni di investimento da loro effettuate.

Ormai –nel clamore del dibattito politico aperto su questo problema- non si va giù per il sottile. Questi soggetti, nonostante che si tratti di casi, situazioni e persone tra loro assai diversi- vengono definiti ”truffati dalle banche” e basta.

Eppure, la truffa è un reato specifico che viene commesso, secondo l’articolo 640 c.p., da ”chiunque, con artifizi o raggiri, inducendo taluno in errore, procura a sé o ad altri un ingiusto profitto con altrui danno”.

Salvo particolari aggravanti la truffa è perseguibile a querela della parte che si considera lesa. Come si accerta, allora, l’esistenza di una truffa? Di solito, quello tra il cliente e il funzionario dell’istituto di fiducia è un rapporto riservato che si svolge a quattr’occhi, come al confessionale. È difficile risalire a come siano andate effettivamente le cose e quali considerazioni abbiano indotto il risparmiatore (o l’investitore) a sottoscrivere un particolare prodotto finanziario, tanto più che l’operatore bancario è sempre in grado di produrre delle carte sottoscritte dal cliente che si dice truffato.

Il governo giallo-verde potrà fregarsene delle regole del bail in e pretendere di risarcire anche gli azionisti e i titolari di obbligazioni subordinate. Ma non può pretendere di ignorare e violare anche le leggi che ha lui stesso ha promosso.

La norma contenuta nella legge di bilancio precisa, in primo luogo, che per danno ingiusto si intende quello riconosciuto con sentenza del giudice o con pronuncia dell’Arbitro per le controversie finanziarie (ACF), in ragione della violazione degli obblighi di informazione, diligenza, correttezza e trasparenza previsti dal TUF nella prestazione dei servizi e delle attività di investimento relativi alla sottoscrizione e al collocamento di azioni emesse da banche aventi sede legale in Italia e poste in liquidazione coatta amministrativa – quindi la platea è individuata in modo chiaro – dopo il 16 novembre 2015 e prima del 1° gennaio 2018.

I soggetti abilitati all’accesso al Fondo sono individuati nelle persone fisiche, negli imprenditori individuali, anche agricoli, nonché nei coltivatori diretti che abbiano acquistato le azioni delle banche suddette.

Oltre ai soggetti che hanno effettivamente investito nel capitale di banche poste in liquidazione nell’ultimo biennio, hanno parimenti accesso al fondo i loro successori mortis causa, nonché il coniuge, il convivente more uxorio, i parenti entro il secondo grado in possesso delle predette azioni, a seguito di trasferimento con atto tra vivi.

Sono state poi previste, con riferimento alle azioni in argomento, alcune ulteriori condizioni: i titoli devono essere stati acquistati dal risparmiatore avvalendosi della prestazione di servizi di investimento da parte della banca emittente o di società da questa controllate e devono risultare ancora detenuti dallo stesso alla data in cui la banca è stata posta in risoluzione o in liquidazione.

Occorre poi che la domanda all’autorità giudiziaria ordinaria o all’ACF sia presentata entro il 30 giugno 2019; che la misura del ristoro erogato entro il limite massimo complessivo di 100mila euro per ciascun risparmiatore, sia pari al 30 per cento dell’importo onnicomprensivo riconosciuto o liquidato nelle sentenze o pronunce dell’autorità giudiziaria o dell’ACF, dedotti i dividendi percepiti. Inoltre, il ristoro non è cumulabile con altre forme di indennizzo; ai soggetti che accedono al pagamento corrisposto dall’apposito Fondo resta impregiudicato il diritto di agire in giudizio per il risarcimento della parte di danno eccedente il risarcimento erogato dal Fondo.

Il Fondo opera entro i limiti della dotazione finanziaria e fino al suo esaurimento secondo il criterio cronologico della presentazione della domanda avanti l’autorità giudiziaria ordinaria o l’ACF e sia surrogato nei diritti del risparmiatore per l’importo corrisposto. I soggetti che presentano domanda al Fondo dopo aver aderito ad accordi transattivi sono postergati nell’erogazione del rimborso ai risparmiatori il cui danno ingiusto è stato riconosciuto con sentenza del giudice o con pronuncia dell’Arbitro per le controversie finanziarie (ACF), fatta eccezione per coloro per cui risulti un valore dell’ISEE inferiore a 35 mila euro nell’anno 2018.

Peraltro viene chiarito, nella relazione tecnica, che il ristoro finanziario avviene in favore dei risparmiatori danneggiati dalle pratiche non conformi alle leggi vigenti in materia di sottoscrizione e di collocamento di azioni riconducibili alle banche nazionali prive di mezzi patrimoniali adeguati ai fini risarcitori perché poste in liquidazione coatta amministrativa.

Come si può dedurre dall’elencazione compiuta fino a ora, si tratta di regole meticolose che intendono ”mettere in sicurezza” l’esborso di denaro pubblico per risarcire soggetti privati che devono vantare un danno riconosciuto come tale da un giudice o da un arbitro. A meno che qualcuno non ritenga sufficiente l’autocertificazione, come per le vaccinazioni.

(estratto di un articolo pubblicato su Huffington Post; qui la versione integrale)

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