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De Bustis, Massiah, Morelli. Bankitalia coccola i banchieri?

Fatti, nomi, tesi e polemiche sulla Vigilanza della Banca d'Italia nel commento di Giorgio Meletti per il Fatto Quotidiano

La capacità del governatore della Banca d’Italia Ignazio Visco di sostenere tutto e il contrario di tutto, à la carte, nel caso della Popolare di Bari e del suo intoccabile boss Vincenzo De Bustis è stata dispiegata per nascondere il palese appoggio sempre fornito al banchiere pugliese.

Per stare ai dati oggettivi, De Bustis è stato sanzionato già nel 2001 come direttore generale della Banca del Salento (poi 121) per “trasferimenti di titoli dal comparto di negoziazione a quello immobilizzato in assenza delle prescritte condizioni”.

Esattamente due mesi dopo è tornato in sella alla Popolare di Bari come consigliere delegato e la Banca d’Italia non ha battuto ciglio, rilasciandogli senza esitazione il via libera. La legge dice infatti che per guidare una banca devi sottoporti all’esame della vigilanza sulle tue competenza, onorabilità e correttezza.

Quando scoppia il bubbone e alla inevitabile domanda (ma voi dove eravate?) gli uomini di Palazzo Koch rispondono sempre con una balla a scelta tra “quei delinquenti ce l’hanno fatta sotto il naso” e “non avevamo poteri sufficienti”.

Lunedì scorso su Repubblica un articolo di Claudio Tito ha dato voce alla seconda tesi: “I tecnici fanno anche notare che nel 2014 è stata approvata dal Parlamento una direttiva europea che renderebbe più stringenti i requisiti per i manager delle banche. Quella direttiva non è mai entrata in vigore: non è stato varato il regolamento attuativo. Quindi anche in occasione della definizione dell’ultimo vertice della Popolare sono stati utilizzati i requisiti, molto più laschi, che risalgono al 1998”.

Questa versione dei fatti, affidata ai sapienti “dicono a Palazzo Koch”, è protetta dal segreto d’ufficio che fa credere al governatore di poter mettere in circolazione qualsiasi balla. Però da quel poco che sappiamo, i conti non tornano.

Innanzitutto la direttiva Crd IV è stata recepita il 12 maggio 2015 con un decreto legislativo che modifica il Testo Unico Bancario e introduce (articolo 53 bis) il potere per Bankitalia di mandare a casa i banchieri, a suo insindacabile giudizio, “qualora la loro permanenza in carica sia di pregiudizio per la sana e prudente gestione della banca”. Potere prima invocato, poi salutato con giubilo, poi esercitato solo una volta nel 2016 con il presidente del Credito di Romagna, Giovanni Mercadini.

Effettivamente il nuovo articolo 26 del Tub subordina l’entrata in vigore dei nuovi criteri “più stringenti” a un decreto attuativo del ministro dell’Economia. È certamente vero che Pier Carlo Padoan dal 12 maggio 2015 al 31 maggio 2018, per tre anni, si è ben guardato di emanare il decreto; che Giovanni Tria ha fatto lo stesso dal 1 giugno 2018 all’agosto scorso; e che Roberto Gualtieri non ha avuto l’incombenza tra i suoi primi pensieri negli ultimi tre mesi. Secondo l’autorevole Studio Ambrosetti i nuovi criteri europei, qualora adottati, farebbero saltare un consigliere d’amministrazione su quattro nelle banche. E nessun ministro ha avuto finora il coraggio di sfidare l’ira dei banchieri. Lo stesso M5S, così severo coi banchieri quando era all’opposizione, nei suoi 18 mesi di governo ha sempre fatto finta di niente.

La Bce (che vigila sulle banche maggiori) e la Banca d’Italia, mentre attendono senza trepidazione il decreto Godot, hanno trovato la loro astutissima quadra. Dicono di aver adottato comunque i criteri “stringenti” della Crd IV e decidono caso per caso chi supera e chi no l’esame. Per esempio il cda dell’Ubi è stato rinnovato attraverso una trattativa sottobanco per cui non si sono ricandidati i consiglieri imputati nel processo per gravi reati commessi nella gestione della banca, ma è stato rieletto l’amministratore delegato Victor Massiah, imputato anche lui.

E l’essere imputato in un processo sarebbe una delle cause ostative della Crd IV. Esattamente due anni fa Visco, in audizione davanti alla commissione parlamentare d’inchiesta sulle banche, affrontò il caso di Marco Morelli, messo al vertice di Mps nonostante la pesante sanzione ricevuta da Bankitalia proprio per fatti “gravissimi” commessi come dirigente dello stesso Monte dei Paschi. Visco borbottò qualcosa, poi lasciò la parola all’allora capo della vigilanza Carmelo Barbagallo, che disse: “La differenza tra la nuova normativa e la vecchia normativa sta nel fatto che per la nuova normativa sarà obbligatorio tenere conto delle sanzioni, come anche delle procedure penali in essere. Però, pur non essendo obbligatorio, questo aspetto è stato preso in considerazione ed è stato ritenuto che non incidesse nella situazione di Morelli”.

Quindi Morelli è stato giudicato con le nuove regole e promosso. De Bustis invece — ma lo dicono adesso che è scoppiata la grana — l’hanno dovuto giudicare con le regole vecchie. In realtà la regola seguita è sempre la stessa, vecchissima: la Banca d’Italia esercita il suo potere nel massimo arbitrio del governatore, del direttorio e talvolta anche del singolo dirigente. E la famosa moral suasion? L’hanno usata, come sempre, ma solo per proteggere De Bustis.

Articolo pubblicato su dagospia.com

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