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Pmi

Ecco come gli accordi internazionali sfavoriscono le pmi italiane

L'approfondimento di Giuseppe Capuano, economista e dirigente del ministero dello Sviluppo economico

L’internazionalizzazione delle imprese si favorisce in maniera consapevole e sostenibile anche, con delle definizioni affidabili e comparabili tra di loro indispensabili per il lavoro “pre-politico” propedeutico e necessario alle decisioni politiche. In questo contesto emerge un problema di cosa noi italiani ed europei intendiamo per MicroPMI rispetto ad altri Paesi nostri competitors ovvero partners commerciali, come ad esempio USA e Cina. Nell’Unione Europea le definizioni di MicroPMI sono molto chiare e precise al contrario degli altri Paesi OCSE dove le differenze dimensionali sono ampie.

Nei Paesi Ue la materia è disciplinata dalla Raccomandazione della Commissione Europea n. 2003/361/CE del 6 maggio 2003 (GUUE L 124 del 20 maggio 2003) che sostituisce la raccomandazione della Commissione Europea 96/280/CE del 3 aprile 1996. In Italia, la ripartizione per addetti segue quanto previsto dal Decreto del Ministero delle Attività Produttive del 18 aprile 2005 (GU n. 238 del 12.10.2005), Adeguamento alla disciplina comunitaria dei criteri di individuazione di piccole e medie imprese, che aggiorna i criteri di individuazione delle microimprese, piccole e medie imprese, in accordo con la disciplina comunitaria.

Circa la definizione della categoria delle piccole e medie imprese (micro, piccola e media impresa), come è noto, i parametri di riferimento, definiti nella Raccomandazione e recepiti nello schema di decreto del Ministero delle Attività Produttive (oggi Sviluppo Economico del 2005, sono i seguenti:

  • microimpresa – a) meno di 10 occupati e, b) un fatturato annuo (corrispondente alla voce A.1 del conto economico redatto secondo la vigente norma del codice civile) oppure, un totale di bilancio annuo (corrispondente al totale dell’attivo patrimoniale) non superiore a 2 milioni di euro;
  • piccola impresa – a) meno di 50 occupati e, b) un fatturato annuo, oppure, un totale di bilancio annuo non superiore a 10 milioni di euro;
  • media impresa – a) meno di 250 occupati e, b) un fatturato annuo non superiore a 50 milioni di euro, oppure un totale bilancio annuo non superiore a 43 milioni di euro.

Nei Paesi OCSE la situazione è molto più articolata e complessa. Utilizzando, per motivi di semplificazione, l’esclusivo riferimento al parametro degli addetti, in 33 Paesi OCSE esaminati, il risultato è stato il seguente: 24 Paesi utilizzano la definizione comunitaria (tutti i Paesi dell’UE aderenti all’OCSE più il Messico, la Svizzera e la Turchia), gli altri otto (Canada, Colombia, Israele, Korea del Sud, Nuova Zelanda, Russia, Thailandia e USA) utilizzano tutti delle definizioni nazionali diverse tra loro.

I Paesi dove l’ampiezza della definizione di PMI è più elevata, ossia fino a 500 addetti, sono gli USA ed il Canada. La Russia presenta il caso più emblematico del “caos” statistico presente nelle varie definizioni nazionali: la dimensione delle micro imprese è quella più ampia tra i Paesi esaminati (fino a 15 addetti) insieme alla classe dimensionale prevista per le piccole imprese (fino a 100 addetti), mentre per le classi medie e grandi imprese i limiti superiori sono uguali a quelli comunitari (medie imprese fino a 250 addetti e oltre i 250 addetti la classe dimensionale delle grandi imprese).

In Cina la situazione è molto più articolata rispetto ai Paesi OCSE (Ue e non). La categorizzazione si basa sulla legge cinese sulla promozione delle PMI, che è stata pubblicata nel 2003. La classificazione dipende dalla categoria dell’industria in termini di numero di dipendenti, vendite e attività. La tabella 2 offre una panoramica della classificazione esatta di una piccola o di una società media. Specifici criteri sono previsti per la vendita all’ingrosso, la vendita al dettaglio, il trasporto, la posta e gli hotel e ristorante.

In Cina una piccola impresa (in Italia ha un massimo di 49 addetti) passa dai 100 addetti per il commercio al dettaglio ai 300 addetti per l’industria ai 500 addetti per il settore trasporto. Molto più articolato per le imprese cosiddette “medie” (in Italia fino ai 249 addetti), dove il range è molto più ampio, potendo raggiungere anche i 2000 addetti nel settore industriale e i 3000 addetti in quello delle costruzioni ossia dalle 8 alle 12 volte rispetto a quanto previsto in Italia e in Europa. In pratica, dato questo quadro definitorio, è impossibile poter fare delle analisi comparate sia di tipo statistico che economico e impedisce di avere uno scenario chiaro e attendibile, propedeutico per chi, per compiti istituzionali o di business, deve costruire delle consapevoli trattative commerciali con la Cina.

In ogni caso, le criticità presenti nell’individuare delle comuni definizioni di classi dimensionali delle imprese non sono solo di tipo tecnico, ma anche di volontà politica di utilizzare, almeno nei Paesi OCSE, una definizione tendenzialmente armonizzata (ad esempio per classi dimensionali non rigide ma che presentano dei range condivisi) di MicroPMI.

La difformità delle definizione costituisce un elemento di confusione e di distorsione degli obiettivi in sede di accordi internazionali, alcuni di grosso impatto commerciale per la nostra economia come ad esempio il “Transatlantic Trade and Investment Partnership” (TTIP tra Ue e USA), il “Comprehensive Economic and Trade Agreement” (CETA tra Ue e Canada) o gli Accordi commerciali con la Cina (“La via della seta”). Un problema definitorio che, se non affrontato, può avere un negativo impatto commerciale per le nostre imprese e, più in generale, per la nostra economia.

In ogni caso, le criticità presenti nell’individuare delle comuni definizioni di classi dimensionali delle imprese non sono solo di tipo tecnico, ma anche di volontà politica di utilizzare, almeno nei Paesi OCSE, una definizione tendenzialmente armonizzata (ad esempio per classi dimensionali non rigide ma che presentano dei range condivisi) di MicroPMI.

La difformità delle definizione costituisce un elemento di confusione e di distorsione degli obiettivi in sede di accordi internazionali, alcuni di grosso impatto commerciale per la nostra economia come ad esempio il “Transatlantic Trade and Investment Partnership” (TTIP tra Ue e USA), il “Comprehensive Economic and Trade Agreement” (CETA tra Ue e Canada) o gli Accordi commerciali con la Cina (“La via della seta”). Un problema definitorio che, se non affrontato, può avere anche un negativo impatto commerciale per le nostre imprese e, più in generale, per la nostra economia.

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