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Governo Tedesco

Perché una lavatrice squassa il governo tedesco

L’ultimo diverbio nel governo tedesco riguarda l'ampliamento della cancelleria, edificio che i berlinesi hanno ribattezzato non proprio affettuosamente “la lavatrice”, per la sua forma cubica e il frontale simile a un oblò. Ecco cosa è successo. L’articolo di Pierluigi Mennitti

 

L’ultimo diverbio nel governo tedesco riguarda un ampliamento. È quello della cancelleria, l’edificio realizzato dopo la riunificazione per accogliere il capo del governo trasferitosi da Bonn, che i berlinesi hanno ribattezzato non proprio affettuosamente “la lavatrice”, per la sua forma cubica e il frontale simile a un oblò. Dalla sua inaugurazione ha ospitato solo tre cancellieri: Gerhard Schröder, Angela Merkel e, da poco più di un anno, Olaf Scholz. Insomma, un simbolo della stabilità politica tedesca.

Adesso pare che l’edificio, così com’è, vada stretto e così la politica ha affidato agli architetti berlinesi Axel Schultes e Charlotte Frank l’incarico di lavorare a un piano di ampliamento. Ora è pronto un progetto da 770 milioni di euro, in cui si prevede di aggiungere al complesso esistente altri 400 uffici, una nuova elisuperficie sopraelevata, un centro logistico, un asilo nido e impianti sportivi. La necessità è giustificata, oltre che da nuovi requisiti per la sicurezza dei voli, soprattutto dall’aumento del personale, quasi raddoppiato da quando l’amministrazione federale si è trasferita a Berlino. I funzionari che non trovano posto nella sede centrale sono dispersi in vari edifici della città, e i dirigenti della cancelleria vorrebbero invece concentrarli in un solo luogo e averli a portata di mano.

La progettazione, avviata nel 2019 sotto l’ultimo governo Merkel, era stata commissionata dall’allora ministro delle Finanze Olaf Scholz. Che adesso ne sarebbe dunque il beneficiario, anche se in verità i lavori, già nella fase preliminare, non finiranno prima del 2025, anno delle prossime elezioni. E chissà se Scholz verrà rieletto.

Tuttavia, a bloccare il progetto è intervenuto l’attuale ministro delle Finanze, il liberale Christian Lindner, alle prese con la quadratura del cerchio della legge di bilancio e con i capitoli della spesa pubblica aumentati a causa della crisi energetica, del capitolo sul riarmo, ma anche dei generosi sussidi di welfare varati dal governo di centro-sinistra.

Lindner sostiene che il piano sia divenuto superfluo di fronte al sopraggiungere di altre priorità di spesa e, nel caso specifico, ha sottolineato che anche con la fine della pandemia un numero maggiore di persone sta decidendo di lavorare in remoto. La nuova flessibilità del personale deve essere sfruttata anche per ripensare gli spazi degli uffici, che possono essere ridotti o utilizzati in modo diverso.

“Dobbiamo ridurre il debito”, ha detto in un’intervista alla Bild, “per farlo sto ripensando a progetti auspicabili, ma non necessari”. E per dare il buon esempio, Lindner ha anche messo una croce su un altro ampliamento, nel suo stesso ministero. Anche lì c’era un progetto di allargamento, anche lì i burocrati stanno un po’ stretti, ma ora i soldi non sono più tanti e quelli che ci sono possono essere destinati ad altri capitoli. I funzionari delle Finanze, ad esempio, valuteranno su incarico del ministro se questi soldi potranno finanziare piani di edilizia abitativa popolare, con l’obiettivo di attenuare la fame di appartamenti economici che c’è a Berlino.

Il leader liberale, in calo di consensi e alla ricerca di maggiore visibilità per sé e per il suo partito, non disdegna nelle sue dichiarazioni di lisciare un po’ il pelo al sentimento populista: mentre i cittadini dovrebbero fare solo docce brevi (e fredde), secondo la narrazione popolare i politici si starebbero avvolgendo di ostentazione e sfarzo con un progetto edilizio milionario. La politica ha i suoi costi, ma per Lindner sbaglia chi crede che la sua intenzione sia di inseguire il sempre più diffuso sentimento di disincanto per la politica. Si tratta di buon senso.

Sono dunque ormai lontani i tempi in cui la cancelleria veniva esaltata come edificio simbolo della riunificazione, anche dal punto di vista architettonico. Con le sue linee allungate lungo gli argini del fiume Sprea, la sagoma dell’intero complesso ricongiungeva come una enorme graffetta due terreni che prima appartenevano all’est e all’ovest di Berlino, richiamando proprio la nuova unione di due parti della città e del paese che erano state per quarant’anni divise.

Oggi quel simbolismo non scalda più il cuore dei tedeschi e ogni nuova spesa per la politica viene interpretata come il perseguimento di privilegi di casta, piuttosto che come investimenti per il bene pubblico. Un nodo che si intreccia sempre di più anche di fronte a questa ennesima decisione che divide il governo.

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