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Ripresa

Perché all’orizzonte c’è la fine del ciclo economico

Il commento di Adrian Hilton, Head of Global Rates and Currency (Responsabile Tassi Globali e Valute) di Columbia Threadneedle Investments

Sembrerebbe che attualmente ci troviamo in un momento cruciale per le economie e i mercati. Il 2019 sarà probabilmente caratterizzato da grandi incertezze e da un aumento della volatilità, poiché non è chiaro se ci troviamo o meno nella fase finale del ciclo economico. I mercati si comporteranno di conseguenza.

La maggiore sorpresa del 2018 è giunta dal ciclo economico, che si è rivelato più resistente e protratto di quanto prevedevamo. Gli sgravi fiscali del Presidente Trump hanno alimentato la fiducia dei consumatori e sostenuto i consumi, ma la spesa per investimenti delle aziende ha reagito in misura inferiore al previsto ai maggiori incentivi agli investimenti forniti dalla riforma fiscale.

Per contro, gli sviluppi economici nel resto del mondo si sono rivelati deludenti. In Europa, le spiegazioni addotte per la crescita fiacca sono mutate nel corso dell’anno, ma sembra sempre più chiaro che la causa principale sia da ricercarsi nel calo della domanda esterna, non ultimo di quella cinese, dovuto all’esaurirsi dell’effetto di precedenti misure di stimolo.

Si direbbe proprio che il ciclo stia per concludersi. Gli Stati Uniti beneficiano da qualche tempo di condizioni finanziarie favorevoli e, più di recente, di vantaggi fiscali, ma molti di questi fattori appaiono in procinto di cambiare. I mercati azionari continuano a scontare un certo ottimismo, anche se in misura inferiore dopo le turbolenze di ottobre e novembre 2018.

Se ci troviamo davvero alla fine del ciclo, l’evolversi degli eventi appare diverso dal passato. Generalmente ci aspetteremmo la comparsa di pressioni inflazionistiche in risposta alla saturazione dei mercati del lavoro e alle limitazioni della capacità produttiva. In tale situazione, la Federal Reserve statunitense inasprirebbe la politica monetaria fino ad adottare un orientamento restrittivo per evitare il disancoraggio delle aspettative d’inflazione. Eppure, malgrado la crescita superiore alla media, l’inflazione non ha esibito una significativa accelerazione. Di conseguenza, la Fed non si è vista ancora veramente costretta ad alzare i tassi d’interesse, nemmeno per portarli ai livelli ritenuti ‘neutri’ dallo stesso istituto centrale.

È possibile che il ciclo stia terminando, ma in maniera più graduale che in passato. Una possibile spiegazione di questa evoluzione anomala è che la risposta dell’inflazione al ridursi della capacità inutilizzata interna è inferiore alla media storica, per cui le autorità non hanno dovuto inasprire la politica monetaria in maniera particolarmente aggressiva. Ciò rappresenterebbe una buona notizia per gli attivi, in quanto le valutazioni potrebbero scendere lentamente senza che si abbia un inasprimento destabilizzante delle condizioni finanziarie.

CARENZA DI STRUMENTI

Una potenziale fonte di volatilità nel 2019 potrebbe essere costituita da un rallentamento più sincronizzato e profondo della crescita globale. Se ciò avvenisse, i meccanismi di protezione contro una recessione potrebbero rivelarsi meno efficaci che in passato. Non arrivo a predire una crisi, ma se invece di una correzione graduale si avrà un atterraggio brusco, i rischi sono maggiori di quelli insiti in cicli più ‘normali’. Non è chiaro quali aree del globo dispongano ancora della flessibilità politica necessaria per contrastare una riduzione generalizzata dei livelli di indebitamento.

Gli Stati Uniti potrebbero allentare nuovamente la propria politica monetaria, ma non è detto che dispongano ancora dello spazio di manovra necessario per una risposta fiscale significativa, data la natura prociclica del loro stimolo più recente. Inoltre, i livelli di debito cinese potrebbero non consentire alla Cina di adottare manovre di stimolo analoghe a quelle effettuate durante precedenti rallentamenti. L’altro cuscinetto potrebbe essere costituito dall’Europa che, a differenza degli Stati Uniti, gode di ampi avanzi delle partite correnti. È difficile tuttavia immaginare che ci sia la volontà politica per coordinare un’espansione fiscale; inoltre la Bce non dispone di ampia flessibilità in ambito di politica monetaria.

IL DILEMMA DELL’EUROPA

I fondamentali dell’area euro appaiono discretamente robusti. Le condizioni sui mercati del lavoro stanno migliorando, l’occupazione ha esibito buoni livelli di crescita e i salari sono finalmente in aumento. Le condizioni di finanziamento sono ancora relativamente rilassate nell’Eurozona e l’indebitamento dell’intera economia resta contenuto. Le limitazioni della capacità produttiva dovrebbero esercitare ulteriori pressioni al rialzo sui salari, facendo aumentare anche gli investimenti in conto capitale. La Bce intende iniziare a normalizzare la propria politica monetaria, ma l’Europa è esposta a rischi provenienti da fonti sia interne che esterne. L’accentuarsi del rallentamento cinese e l’ulteriore deteriorarsi del commercio internazionale potrebbero costituire una minaccia, data la crescente dipendenza dell’Eurozona dalle esportazioni negli ultimi anni. Lo scontro tra l’Italia e la Commissione europea innervosisce, a ragione, i mercati. La Brexit rappresenta un’ulteriore fonte di incertezza.

Per il Regno Unito, molto dipenderà da come si configurerà la futura relazione commerciale con l’Ue e quali saranno i rispettivi impatti sull’economia, sia sul lato della domanda che su quello dell’offerta. È difficile che gli attivi a reddito fisso britannici imbocchino una direzione precisa fino a che non comprenderemo la natura dello shock.

PROSPETTIVE PER I RENDIMENTI

Quali sono le implicazioni di queste incertezze per i rendimenti obbligazionari? Riteniamo che la crescita statunitense abbia raggiunto il picco, per cui ci attendiamo rendimenti più bassi durante il 2019, anche se non di molto, se si eviterà una recessione. In tale contesto, la normalizzazione del bilancio della Fed e l’evoluzione della politica monetaria altrove potrebbero incidere positivamente sui premi a termine, che sono stati molto ridotti su tutti i mercati dei titoli di Stato.

Molto dipende da un’eventuale accelerazione o meno dell’inflazione. Se negli Stati Uniti il rapporto tra limitazioni della capacità produttiva e inflazione si normalizzerà, la Fed potrebbe dover inasprire la politica monetaria più del previsto. In tal caso, il ciclo economico potrebbe estendersi ulteriormente, ma potrebbe poi terminare in modo più brusco.

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