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Vino Senza Alcol

Perché Lollobrigida cede sul vino non vino

Negli Stati Uniti lo chiamano NoLo, ovvero vino senza alcol o a basso tenore alcolico, ed è già molto apprezzato dai giovani. In Europa si può produrre e vendere ma l'Italia non si era ancora pronunciata chiaramente in materia. Ora il ministro Lollobrigida ha presentato una bozza di decreto. Ecco cosa prevede, le reazioni delle associazioni di categoria e i numeri del settore

 

Per alcuni potrà sembrare un’eresia ma in Italia si potrà produrre vino senza alcol o a basso tenore alcolico. Dopo mesi di confronto, il ministro dell’Agricoltura, Francesco Lollobrigida, ha presentato la bozza del decreto che dovrebbe dare il via libera alla produzione di vini dealcolati, che all’estero sono già molto in voga. Diversi produttori e associazioni di categoria gioiscono ma c’è anche chi protesta…

LE GIRAVOLTE DI LOLLOBRIGIDA

“Non possiamo proibire ciò che l’Europa autorizza, ma per me non è vino”, diceva lo scorso settembre Lollobrigida. Ecco dunque che ieri il ministero dell’Agricoltura, della sovranità alimentare e delle foreste (Masaf) ha presentato un decreto relativo alla produzione di “NoLo”, per dirla all’americana, che sta per “no e low alcohol”.

“Grazie all’operato del ministero – hanno commentato dal dicastero – le aziende italiane potranno competere con gli altri produttori europei già presenti sul mercato del dealcolizzato, senza diminuire le azioni di tutela nei confronti del comparto vitivinicolo di qualità né nella promozione del suo valore culturale e di rappresentanza del Made in Italy”.

LA MEDIAZIONE TRA LE ASSOCIAZIONI

Il decreto, spiega il comunicato, “nasce a seguito del regolamento (UE) 2021/2117 che ha introdotto, attraverso una modifica all’allegato VIII del regolamento (UE) n. 1308/2013, la possibilità di effettuare la pratica enologica della dealcolizzazione per ridurre, parzialmente o totalmente, il tenore alcolico nei vini”. Il provvedimento, che mira a fornire un quadro normativo conforme alle disposizioni europee, è il risultato di una mediazione tra le diverse istanze del mondo associativo.

All’incontro hanno partecipato: Coldiretti, Confagricoltura, Cia, Copagri, Alleanza delle Cooperative Agroalimentari, Federvini, Unione Italiana Vini, Assoenologi, Federdoc, Assodistil e Federazione Italiana Vignaioli Indipendenti.

COSA PREVEDE IL DECRETO

I principali elementi del decreto sono: il divieto di dealcolazione per i vini a Denominazione di origine protetta (Dop) e Indicazione geografica protetta (Igp), “al fine di preservarne l’autenticità”; l’obbligo di produrlo in strutture dedicate, fisicamente separate da quelle utilizzate per la produzione vitivinicola, con registri digitalizzati e licenze autorizzative; e, infine, l’obbligo di etichettarlo attraverso la dicitura “dealcolizzato” o “parzialmente dealcolizzato”, pur mantenendo la parola “vino”.

Per vini dealcolizzati, scrive Repubblica, si intendono quelli con presenza di alcol non superiore a 0,5% e per parzialmente dealcolizzati quelli con alcol superiore a 0,5% ma inferiore al minimo della categoria originale, 8,5%-9%. Sarà poi “vietato aumentare il tenore zuccherino del mosto e aggiungere acqua o aromi esogeni al prodotto, mentre sarà consentito il recupero e riutilizzo dell’acqua e degli aromi endogeni dalla soluzione idroalcolica derivante dal processo, a condizione che avvenga in un circuito chiuso e automatico”.

LE REAZIONI DELLE ASSOCIAZIONI

Federvini fa sapere di aver accolto con soddisfazione il provvedimento che, secondo il suo vicepresidente Piero Mastroberardino, “da un lato punta a ristabilire condizioni di parità competitiva con gli altri Paesi produttori, per altro verso ha lo scopo di integrare, non sostituire, le tipologie di prodotto che rappresentano gli output della filiera nazionale, che deve proseguire l’opera di consolidamento del proprio ruolo guida nella crescita di valore e nel contempo sostenere il potenziale produttivo e il rapporto con i mercati”.

Finora infatti i produttori italiani interessati alla produzione di vini NoLo potevano condurre questa procedura solamente all’estero, con evidenti limiti per la competitività.

Approvazione anche dall’Unione Italiana Vini (Uiv) che però intravede “alcuni elementi certamente perfezionabili”, relativi soprattutto alla possibilità di consentire che le operazioni di dealcolizzazione possano avvenire in ambienti separati e non intercomunicanti ma all’interno dello stesso stabilimento dove avvengono le operazioni di vinificazione/imbottigliamento. “A ciò – precisa Uiv – si aggiunga il trattamento come rifiuto, anziché sottoprodotto, per le sostanze idroalcoliche ottenute con tecnica a membrana a contatore in ragione dell’antieconomicità nell’utilizzo per altri impieghi”.

In contrasto con Uiv si è pronunciata Assodistil che, pur apprezzando l’intervento del ministero, sottolinea che ci sono “alcuni aspetti sui quali non è possibile derogare, primo tra tutti quello del corretto inquadramento fiscale cui sottoporre le miscele idroalcoliche ottenute dal processo di dealcolizzazione, nel rispetto delle vigenti norme di legge previste dal D.L.vo n. 504/95, il c.d. Testo Unico Accise, al quale chiunque produca alcole etilico deve conseguentemente attenersi”.

QUESTIONE ACCISE

Inoltre, resta da sciogliere il nodo accise: “Il ministro ha concluso l’incontro spiegando che per le questioni fiscali servirà un approfondimento con Giorgetti e Leo. Ma già dalla bozza del decreto è stato chiarito che, nell’ambito dei processi di dealcolizzazione, qualora si produca alcol etilico, si dovrà rispettare la legge 504 (che prevede l’assoggettamento al regime fiscale). Il punto è che, nel momento in cui si produce alcol, si è comunque soggetti alla tassazione, sia che l’alcol sia utilizzato industrialmente sia che non venga sfruttato”, ha spiegato Paolo Castelletti, segretario generale di Uiv.

La questione, chiarisce Repubblica, è che “per dealcolare il vino ci sono tre macro metodi: per osmosi inversa con uso di membrane che separano il liquido alcolico dal resto, con la distillazione sottovuoto e con la parziale evaporazione sotto vuoto” e “nel momento in cui un viticoltore produce un vino alcol free utilizzando il metodo della cosiddetta membrana a contatore, viene prodotta una soluzione idroalcolica in cui la presenza di alcol è bassissima”. “Si parla dello 0.5% o al massimo dell’1,2% – precisa Castelletti -. Perciò abbiamo chiesto al ministro Lollobrigida che in questi casi si possa applicare una semplificazione, senza sottoporre questi produttori alle accise”.

I NUMERI DEL VINO DEALCOLATO

Nonostante il vino senza alcol o a basso tenore alcolico non vada (ancora) per la maggiore, secondo Castelletti, in Italia il 36% dei consumatori è interessato a consumarlo e “negli Stati Uniti, incubatore di tendenze specie tra i giovani, il mercato Nolo (no e low alcohol) vale già un miliardo di dollari”. “Sul principale mercato per le etichette made in Italy, gli Stati Uniti (1,76 miliardi di fatturato e una quota sul totale del 22,6%), i vini low alcohol – scrive Il Sole 24 Ore – hanno raggiunto un fatturato di un miliardo di dollari per quasi 9 milioni di casse (108 milioni di bottiglie)”.

E se a dettare le regole sono i giovani, secondo un recente sondaggio Gallup citato dal quotidiano economico, il vino, per come lo conosciamo, in futuro potrebbe conoscere una certa crisi. I giovani infatti ne bevono meno e negli Usa è la bevanda meno presente tra loro con una penetrazione del 13% contro il 30% di spirits e birra.

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