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Perché la Polonia avrà più fondi dell’Italia con il Recovery Fund?

Obiettivi, incognite e raffronti: il Recovery Fund visto da Tino Oldani su Italia Oggi

 

Carlo Calenda non è un sovranista, ma un europeista convinto. È stato ministro tecnico dell’Industria nel governo di Matteo Renzi, poi si è iscritto al Pd, ma ne è uscito schifato poco dopo per fondare un suo movimento politico, Azione, che secondo i sondaggi non arriva neppure al 2%. Eppure i salotti tv lo interpellano quasi ogni giorno, soprattutto sui temi economici, materia su cui Calenda, manager che ha lavorato per cinque anni in Ferrari, è considerato ferrato. Nel suo piccolo, un uomo libero, e liberale, che non ha padrini politici da servire, e dice ciò che pensa senza giri di parole.

Così, quando nel salotto di Lilli Gruber gli è stato chiesto cosa pensa del Recovery Fund da 750 miliardi annunciato da Ursula von der Leyen e dei 172 miliardi promessi all’Italia, di cui 81,8 come sussidi e 90,9 come prestiti, Calenda ha risposto che da europeista convinto ha accolto con favore il piano chiamato Next Generation Ue, ma ha pure gelato gli entusiasmi del governo di Giuseppe Conte e delle quattro sinistre che lo sostengono: «I 170 miliardi per l’Italia sono una speculazione di stampa. Gli 82 miliardi a fondo perduto sono finanziati da un aumento dei contributi, che l’Italia dovrà pagare. Il saldo è però positivo, perché tra l’aumento dei contributi e quanto prenderemmo, la differenza positiva è di 26 miliardi». Questi soldi, ha aggiunto, «verranno dati in cinque anni, io credo che inizieranno ad arrivare nel 2021. Il tema per noi sarà sempre quello: se saremo capaci di spenderli. Noi dall’inizio della crisi abbiamo 3 miliardi che la Commissione Ue ci ha messo a disposizione, e sono ancora bloccati in un negoziato con le Regioni».

Un conto identico lo ha fatto Christian Odendhal, capo economista del Centre for european reform con sede a Berlino: con un tweet polemico, ha sottolineato che la Polonia riceverà dal Recovery Fund un trasferimento netto più elevato dell’Italia, sia pure di poco: 27 miliardi contro 26. Infatti, a fronte di grants per 82 miliardi, nei prossimi cinque anni l’Italia pagherà contributi Ue per 56 miliardi, con un saldo positivo di 26 miliardi. La Polonia, pur ricevendo meno grants (38 miliardi) dell’Italia, dovrà pagare meno contributi (11 miliardi), con un saldo netto di 27 miliardi.

Questo squilibrio tra Italia e Polonia conferma ancora una volta che il nostro paese continua ad essere un forte contributore del bilancio dell’unione europea. Ma, se le somme messe in campo dalla Von der Leyen saranno confermate dall’ok unanime dei 27 paesi Ue e dal parlamento europeo, compresi i rappresentanti dei cosiddetti paesi frugali, dal 2021 per la prima l’Italia non sarà più un contributore netto. Senza essere sovranisti, è evidente che 5 miliardi di grants l’anno sono una percentuale risibile sul bilancio annuale dell’Italia. Certo, meglio di niente, ma davvero poca cosa rispetto alle esigenze di ricostruzione dell’economia reale, messa in ginocchio dal lockdown imposto Covid-19. È dunque lecito domandarsi perché mai la Commissione Ue e il governo delle quattro sinistre abbiano alimentato sui media un entusiasmo e una ricerca di consenso così spasmodica, parlando di «svolta storica» dell’Europa, quando tutto deve essere ancora approvato.

Sul piano europeo c’è chi teme che la tanto ostentata generosità dell’Ue verso l’Italia sia in realtà un preludio al colpo di freni che potrebbe scattare dal 5 agosto in poi se la Bce, dopo i tre mesi concessi dalla sentenza di Karlsruhe, fosse costretta a ridurre il Qe a favore dei titoli pubblici italiani. A quel punto l’Italia non potrebbe fare a meno di accettare, con i finanziamenti Ue, anche le condizionalità più severe. A cominciare da quelle riforme di struttura (burocrazia, giustizia, fisco, forse la patrimoniale) che da anni ci vengono suggerite dall’Ue, mentre tra poco ci saranno imposte. Il che, a dire il vero, non sarebbe affatto un male, vista la propensione del governo Conte ai bonus e agli sprechi di denaro pubblico anche in piena pandemia.

(estratto di un articolo pubblicato su Italia Oggi; qui la versione integrale)

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