Le rappresentanze degli imprenditori e dei lavoratori si dovranno confrontare con varie ipotesi di intervento normativo. In assenza di avvisi comuni o a seguito della mancata attuazione dell’accordo prodotto nel 2014, sono le stesse organizzazioni, o meglio alcune di esse singolarmente, a sollecitare l’intervento del legislatore o a chiedere il pronunciamento popolare su norme da abrogare.
Così la Cgil ha depositato le firme per quattro referendum abrogativi che, al di là del merito specifico, ripropongono vecchie logiche difensive del lavoro o punitive delle imprese con il pericolo di un regresso nelle relazioni di lavoro. La stessa Cgil invoca la legge sul salario minimo e la regolazione pubblicistica della rappresentatività dei corpi sociali.
Sul fronte opposto, la Cisl chiede l’approvazione della sua proposta di legge di iniziativa popolare a sostegno delle esperienze di partecipazione dei lavoratori alla vita delle imprese. Almeno in questo caso si tratta di una cosiddetta soft law, ovvero di una disciplina non obbligatoria e quindi priva di sanzioni.
Nel complesso si evidenzia un clima di sfiducia degli stessi attori sociali nei confronti della autonomia collettiva che da tempo non si esercita nemmeno nella ricerca di intese tra le confederazioni. Così ognuno è portato a far da sé nei rapporti con le istituzioni o con le aree politiche o con lo stesso potere giudiziario. Il campo di gioco sono le imprese chiamate a competere con fatica in un contesto regolatorio europeo certamente meno favorevole di quello del Nord America o della Cina. Nondimeno il mondo del lavoro è impegnato al confronto con le grandi trasformazioni in corso per le quali necessita di veri investimenti formativi per riattivare l’ascensore sociale e garantire la continuità lavorativa.
Ovviamente queste ipotesi normative non possono essere messe sullo stesso piano. Se le iniziative Cgil evocano una logica conflittuale, quelle della Cisl invocano più dialogo e collaborazione tra le parti e con le istituzioni nel presupposto che le sfide siano tali da dover essere affrontate insieme. Inoltre la pretesa di una legge sulla rappresentatività porterebbe il nostro modello sussidiario di relazioni industriali in una dimensione pubblicistica, soggetta a ricorrenti contenziosi sulla validità dei contratti e sugli interna corporis delle organizzazioni con la conseguenza di ulteriori incertezze per le imprese e per i lavoratori.
Come in altre circostanze, potrebbe tuttavia formarsi un blocco sociale tra tutti coloro che vogliono evitare una deriva dannosa per la crescita e la competitività e costruire relazioni collettive adeguate ai nuovi paradigmi indotti dalla rivoluzione tecnologica.