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Fondo Competenze

Perché il Recovery Plan sottovaluta le politiche attive del lavoro?

Nel Pnrr c'è un elemento che resta un po’ indietro nella declinazione dei provvedimenti necessari alla sua realizzazione: le politiche per il lavoro. L'intervento di Claudio Negro della Fondazione Kuliscioff

Non voglio cercare il pelo nell’uovo sul Pnrr di Draghi, che a mio avviso è il più importante atto di Governo negli ultimi 30 anni. Voglio soltanto mettere a fuoco un elemento del programma che, indiscutibile nei suoi orientamenti di fondo, resta un po’ indietro nella declinazione dei provvedimenti necessari alla sua realizzazione.

Parlo del Capitolo M5C1: Politiche per il Lavoro. Ho l’impressione che lo stanziamento (6.6 mld) non corrisponda a riscontrabili capitoli di spesa, e soprattutto che l’intelaiatura del progetto, che si regge sulla creazione di tre nuovi strumenti (Programma Gol: Garanzia Occupabilità Lavoratori; Piano Nazionale Nuove Competenze; Potenziamento Centri per l’Impiego) sia piuttosto “leggera” rispetto all’individuazione degli interventi concreti che li rendano poi effettivamente operativi.

Comincerei da Gol. Il Pnrr lo descrive come uno strumento “che prevede un sistema di presa in carico unico dei disoccupati e delle persone in transizione occupazionale (percettori di RdC, Naspi, Cigs). Si ridefiniscono gli strumenti di presa in carico dei disoccupati con politiche attive che, a partire dalla profilazione della persona, permettano la costruzione di percorsi personalizzati di riqualificazione delle competenze e di accompagnamento al lavoro” Si tratta di una ripresa sostanziale di Dote Unica Lavoro (Dul) della Regione Lombardia, la primissima politica attiva sperimentata in Italia. Possiamo quindi tentare qualche simulazione partendo da questo: calcolando quanto la regione ha impiegato annualmente dal 2014 per Dul, e riproporzionandola alla popolazione del Paese, otteniamo una spesa di 500 mln/anno. Cifra che però va rivista al rialzo, perché il numero di disoccupati che dall’ultima parte del 2021 avrà bisogno di servizi al lavoro sarà molto superiore al dato storico della platea annua di Dote Unica Lavoro Lombardia. Nei 5 anni di vigenza del Piano sarà probabilmente necessario impiegare tra i 6 e i 7 mld, quando lo stanziamento previsto per Politiche Attive e Formazione è poco superiore a 4mld. Ammettiamo pure che gli under 29 anni vengano dirottati su Garanzia Giovani, che grosso modo funziona con lo stesso metodo e che mediamente coinvolge circa 200.000 candidati per 130 mln/anno (dato 2020-Anpal), utilizzando i le risorse del Fse. Tuttavia la sproporzione resta importante: naturalmente sarebbe diverso se fosse possibile integrare le risorse del Pnrr col Fse (che in effetti ha finora finanziato Dul Lombardia) e soprattutto con nuove risorse del Sure, come richiesto da Draghi a all’Ue. Si tratta evidentemente di questioni decisive per una pianificazione efficace dell’intervento.

Ma al netto degli aspetti finanziari è opportuno che ci sia chiarezza sul qualche altro punto.

Il primo riguarda gli interventi di potenziamento dei Centri per l’Impiego e la loro messa in rete con le Agenzie Private. Cominciamo da quest’ultima questione: i Cpi notoriamente intermediano il 4% del collocamento. Molto di più le Agenzie per il Lavoro, anche in virtù del fatto che possono offrire alle imprese l’assunzione tramite la modalità della somministrazione. E già qui occorrerebbe chiarire che anche la somministrazione è ammissibile come modo di collocamento, cosa che di recente non è stata così pacifica: invece la somministrazione rappresentazione una parte decisiva degli avviamenti al lavoro. I Cpi svolgono ormai da anni mansioni burocratiche e di certificazione, lascito nocivo del vecchio collocamento numerico e del divieto di intermediazione: non hanno un rapporto vero col territorio e col sistema delle imprese. Tuttavia, laddove è stato rimosso, assieme ad un immaginario monopolio, il diaframma che divideva dalle Agenzie Private, e sono stati messi in condizioni di “correre” alle stesse condizioni, i Cpi non sono andati male: in Lombardia Afol (Cpi di Milano), Cpi Brianza e Cpi Lecco, sono state spesso tra i migliori 10 performers di Dul, per la quale concorrevano alle medesime condizioni delle Agenzie private. Segno che il personale dei Cpi, messo nell’obbligo di “correre”, è stato capace di rispondere. Ovviamente viene da chiedersi a cosa debbano servire i 600 mln previsti per i Cpi: 200 mln sono previsti per strutture tecnologiche (e ci sta) 400 per nuovo personale, e non ci sta. Eventualmente il problema del personale Cpi è la ri-formazione professionale, non l’aumento dell’organico. Quest’ultimo sarebbe destinato ad essere aumentato da un paragone con gli analoghi servizi al lavoro dei maggiori paesi europei, ma in Italia questo gap può essere superato agevolmente assegnando le stesse funzioni alle strutture pubbliche e a quelle private. Che ad alcuni Cpi possano essere necessari ulteriori organici è possibile , ed è logico che vengano utilizzati i navigators assunti con contratti a termine: che l’assunzione di tutti i navigators faccia parte di questo schema mi sembra discutibile.

Un altro elemento che è necessario definire è il modello operativo del sistema di Politiche Attive. Occorre un piano nazionale che definisca le modalità per chiamare uno ad uno i disoccupati e gli inattivi attraverso un procedimento che consenta il tracciamento delle loro risposte; gli standard di servizio che tutti gli operatori devono garantire; le misure di politica attiva che devono essere erogate su tutto il territorio nazionale, fissando in modo esplicito la modalità sommariamente richiamate dell’introduzione al Gol sopra citata: profilazione dei candidati per graduare l’intensità dei servizi da erogare, e tra questi distinguere e dosare quelli finalizzati all’occupabilità e quelli di vero e proprio accompagnamento al lavoro. La par condicio tra Cpi e Agenzie private dovrebbe avere un corrispettivo nel fatto che le Agenzie debbano farsi carico delle incombenze amministrative normalmente disimpegnate dai Cpi; la libertà di scelta tra Cpi e Agenzie per accedere alle Politiche Attive dovrebbe essere garantita per tutti gli utenti, il che naturalmente richiede di definire a chi compete attivare gli utenti “obbligati” alle Politiche Attive (l’Inps territoriale, parrebbe logico).
E’ chiaro che tutto ciò necessita un sistema informativo unico tra tutte le regioni e l’interconnessione tra le regioni e l’Inps per far funzionare la condizionalità delle misure di sostegno del reddito ed evitare i troppi passaggi burocratici.

E’ necessario decidere sugli strumenti di Politiche Attive già esistenti: Assegno di Ricollocazione e Garanzia Giovani. Il primo sarebbe logico confluisse portandosi dietro il suo stanziamento nella Politica Attiva Nazionale. La seconda, finanziata dal FSE, potrebbe restare per la fascia di età under 29, riprendendo le modalità operative della Politica Attiva Nazionale (operazione non difficile).

Resta aperta un’altra grossa questione affrontata in questa sezione del Pnrr: la formazione. Ne parleremo.

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