A Pechino è iniziato lunedì 15 luglio il Plenum del Comitato permanente del Partito Comunista cinese.
Nella liturgia politica cinese, il Terzo Plenum è tradizionalmente dedicato alla pianificazione dello sviluppo economico triennale, alla fine dei quattro giorni di lavori il Comitato Centrale approverà un documento che farà conoscere le linee guida valide da qui al 2027 e, soprattutto, le iniziative e riforme per tentare di traguardare l’obiettivo di crescita, stabilito quest’anno al 5%.
Nel secondo trimestre la Cina è cresciuta del 4,7% su base annua, al di sotto delle previsioni (5,1%) e del trimestre precedente (5,3%). La seconda economia più grande del mondo è ancora intrappolata nella debolezza della domanda interna e alle prese con la coda della crisi del settore immobiliare. La produzione industriale è andata bene, la crescita del 5,3% in giugno è stata sopra le attese, ma il punto debole sono i consumi, cresciuti solo del 2%.
In giugno le esportazioni sono cresciute dell’8,6% rispetto all’anno precedente mentre le importazioni sono diminuite del 2,3%, una divergenza che fa alzare più di qualche sopracciglio nei governi occidentali. Sullo sfondo restano gli obiettivi della modernizzazione dell’economia e, più avanti nel tempo, l’appuntamento solenne con il 2049, quando verranno celebrati i cento anni dalla fondazione della Repubblica Popolare.
Gli argomenti che l’élite politica di Pechino affronta in questi quattro giorni sono dunque complessi: gli squilibri strutturali dell’economia, il debito delle municipalità, le riforme necessarie, le misure straordinarie di cui il settore immobiliare ha ancora bisogno. La seconda economia del mondo è alle prese con un rallentamento serio, con difficoltà di ordine strutturale (la domanda domestica insufficiente, il settore immobiliare) e nei rapporti con l’esterno (l’obiettivo dell’autosufficienza tecnologica, i dazi applicati anche dall’Europa).
Come un termometro, il mercato azionario cinese registra il malessere dell’economia e continua a deludere gli investitori; il mini-rally tra febbraio e aprile ha avuto breve respiro, oggi l’indice si trova a un livello sopra i precedenti minimi, novembre 2022 e inizio 2024. Per quello che valgono le figure tecniche, l’attuale configurazione dell’indice sembra presagire un possibile cambiamento al rialzo e le valutazioni sono ancora contenute e attraenti.
Al netto delle considerazioni macroeconomiche, le aziende cinesi presentano due caratteristiche distintive: il costo del lavoro ancora basso e le economie di scala. Gli enormi volumi produttivi sono il risultato di decenni di sviluppo e accumulo di esperienza, consentono ai produttori prezzi finali molto competitivi che consentono all’export cinese di insidiare le quote di mercato dei marchi domestici (ad esempio nel settore auto o nella piccola elettronica) oppure di entrare con facilità in paesi che non hanno marchi nazionali.
Assieme agli Stati Uniti, la Cina consolida la sua condizione di maggior mercato di riferimento delle società del lusso; in GAM stimiamo che nei prossimi cinque anni la spesa per beni ed esperienze di alta gamma crescerà di quasi ottanta miliardi di euro. Se guardiamo al recente passato, il principale motore di crescita del lusso è stata la domanda dei consumatori cinesi più ricchi e l’anno della pandemia, il 2020, è stato anche per loro il 2020 è l’anno di cesura tra un prima e un dopo.
Prima della pandemia gli acquisti erano fatti in larga misura durante i viaggi in Europa e negli Stati Uniti, ma al ritorno della normalità la gran parte degli acquisti viene effettuata in patria. Il governo vuole che una quota maggiore della spesa del lusso resti in patria, i controlli doganali sui passeggeri che rientrano dai viaggi all’estero sono diventati rigorosi e molto mirati.
Le grandi maison del lusso lo hanno capito e si sono adeguate: la rete di negozi di lusso in Cina è più estesa rispetto al passato, gli assortimenti più ricchi.
I consumi dei beni di fascia alta in Cina e nella regione asiatica offrono un supporto decisivo al settore del lusso, un fenomeno che non dovrebbe sfuggire all’occhio dell’investitore attento. L’investimento nel settore del lusso offre credibili attese di rendimento e costituisce una forma di protezione contro l’inflazione: le aziende del lusso hanno il potere di adeguare i listini senza preoccuparsi del fatturato, gli ultraricchi comprano e non chiedono mai il prezzo!