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Pensioni

Perché i pensionati temono la prossima Legge di Bilancio

Perequazione automatica delle pensioni in godimento: i timori dei pensionati su nuove penalizzazioni. L'intervento di Michele Poerio, segretario generale Confedir e presidente nazionale Federspev

 

In rappresentanza delle diecine di migliaia di pensionati e vedove/i della FEDER.S.P.eV. (Federazione Sanitari Pensionati e Vedove) e della CONFEDIR (Confederazione maggiormente rappresentativa della dirigenza pubblica e privata, dei quadri e delle alte professionalità), in qualità rispettivamente di Presidente Nazionale e Segretario Generale, osservo e segnalo quanto segue:

il 31/12/2021 viene a cessare l’ennesima penalizzazione (di cui alle leggi nn. 145/2018 e 160/2019) a danno dei titolari di pensioni (superiori a 3-4 volte il minimo INPS), che ha visto la perequazione di tali pensioni azzerata, o fortemente limitata, in 11 degli ultimi 14 anni, calpestando però fondamentali principi costituzionali (in particolare quelli degli artt. 36 e 38) e decine di sentenze della Corte costituzionale.

Prendendo a riferimento i 14 anni anzidetti, cioè dal 2008 al 2021 compresi, si può dire con sicurezza che gli interventi peggiorativi sulla perequazione delle pensioni oltre le 6 volte (e ancor più oltre le 8 volte il minimo INPS), intervenuti in deroga ai criteri della legge n. 388/2000, hanno determinato una perdita permanente del potere d’acquisto delle pensioni in questione di non meno del 15-20%, in concreto da 500 €.  mensili circa a più di 1.000 €. mensili, anche senza tener conto dell’appesantimento fiscale delle addizionali comunali e regionali intervenute dai primi anni duemila e del taglieggiamento crescente dei cosiddetti “contributi di solidarietà” a carico delle cosiddette pensioni d’oro.

A ciò si aggiunga che dal 2014 ad oggi ha continuato ad operare il criterio di perequazione introdotto dalla legge Letta (L. n. 147/2013), che è nettamente peggiorativo rispetto al meccanismo precedente (L. n. 388/2000), infatti l’incremento interviene (ed in misura decrescente) sulla base dell’intero importo della pensione goduta, anziché in misura distinta (a scaglioni, cioè), come avveniva in precedenza per i vari segmenti di una singola pensione.

Anche senza gli interventi sgraziati anzidetti, c’è da dire che la perequazione automatica delle pensioni non raggiunge mai il pieno ristoro dall’inflazione per almeno i seguenti principali motivi:

1) perché il recupero interviene in tempi successivi rispetto al momento dell’insulto inflattivo;

2) perché il “paniere” che pesa l’incremento del costo della vita per le famiglie di operai ed impiegati non è specifico per le persone anziane, anche se rappresenta la base per la rivalutazione riconosciuta delle pensioni;

3) perché, anche in via ordinaria, la percentuale di rivalutazione è riconosciuta in misura progressivamente decrescente al crescere dell’importo della pensione goduta.

A seguito dei ricorsi di migliaia di nostri iscritti (promossi dalla FEDER.S.P.eV. e dalla CONFEDIR), la Corte costituzionale, con sentenza 234/2020, ha limitato al 31/12/2021 (rispetto al precedente 31/12/2023) il “contributo di solidarietà”, come previsto dalla legge 145/2018 secondo i seguenti criteri:

  • – 15 % sugli importi delle pensioni oltre i 100.200 € lordi/anno e fino a 130.260 €;
  • – 25 % sulla parte che eccede i 130.260 € e fino ai 200.400 €;
  • – 30 % sulla ulteriore parte che eccede i 200.400 € e fino ai 350.700 €;
  • – 35 % sulla parte che eccede i 350.700 € e fino ai 501.000 €;
  • – 40 % per la parte ancora eccedente rispetto ai 501.000 € lordi/anno.

La Corte anzidetta, invece, non ha avuto nulla da eccepire rispetto agli interventi dei nostri legislatori che si sono accaniti, per ben 11 degli ultimi 14 anni, nel limitare gravemente (o addirittura azzerare nel 2008, 2012, 2013) la perequazione automatica a danno dei titolari di pensione oltre le 6 od 8 volte il minimo INPS.

Assistiamo quindi spesso a sentenze della Corte che rivelano un imbarazzante ossequio rispetto agli input che provengono dal Palazzo, anche a costo di sconfessare lettera e spirito di principi e valori della Costituzione vigente (su tutti quelli di cui agli artt. 3, 36, 38, 42 e 53) e decine di precedenti sentenze della Corte stessa su analoga materia (da ultimo, la sentenza 250/2017, come la sentenza 234/2020, che ribaltano la precedente sentenza 70/2015 in materia di perequazione automatica).

Per le considerazioni fin qui espresse, chiediamo, con la forza delle ragioni e dei diritti riconosciuti e consolidati in capo a tutti i pensionati, che almeno dal 1° gennaio 2022 (liberati ormai dal peso dell’esproprio del contributo di solidarietà) si torni ai più ragionevoli e giusti criteri di perequazione automatica di cui alla legge n. 388/2000: cioè perequazione “a scaglioni” sui diversi importi di una singola pensione, vale a dire 100% sugli importi fino a 3 volte il minimo INPS, 90% sugli importi tra 3 e 5 volte il minimo INPS ed il 75% sugli importi eccedenti 5 volte il minimo.

Qualora, in caso malaugurato, ciò non si realizzasse:

  • nessuno, neppure il Presidente del Consiglio, potrebbe legittimamente dire che il Governo Draghi non intende aumentare le tasse perché il prelievo sulle pensioni (mancata o ridotta indicizzazione, come il contributo di solidarietà), al di là del nomen juris, altro non è se non un tributo altamente discriminante nei confronti di redditi similari per significato ed importo, nonostante i tentativi della Corte costituzionale di dimostrare il contrario;
  • nessun Partito o Movimento potrebbe accreditarsi come rispettoso dei diritti e dei principi della nostra Carta, così come della dignità del ceto medio e delle categorie dirigenti, spina dorsale del Paese di ieri e di domani;
  • sarebbe particolarmente scandaloso continuare a negare diritti previdenziali acquisiti e consolidati da parte di importanti quote di pensionati;
  • non sarebbe peraltro credibile ricorrere ancora allo stato di “necessità ed urgenza” per giustificare uno strumento improprio come la legge di bilancio per intervenire in materia di indicizzazione delle pensioni (sarebbe la dodicesima volta in quindici anni!);
  • l’ingiustizia paventata diventerebbe intollerabile visto l’incremento in atto dei processi inflattivi e tenuto conto della condizione di “grandi contribuenti fiscali” propria della nostra benemerita categoria di pensionati che rappresenta uno dei maggiori ammortizzatori sociali italiani (10mld anno nei confronti di figli e nipoti disoccupati e sottoccupati);
  • infine è chiaro che, di fronte al perseverare di un accanimento di così lunga durata a danno dei nostri pensionati, le categorie che rappresentiamo non accetteranno supinamente un’eventuale proroga dei commi 260 e segg. della legge di bilancio 145/2108 e tantomeno ulteriori penalizzazioni.

Rimaniamo comunque a disposizione per ogni utile e doveroso incontro e confronto in materia, a maggior ragione in occasione della prossima legge di bilancio.

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