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Valute Mercati Emergenti

Perché i mercati emergenti emergeranno sempre più

Mercati emergenti, ecco quali sono i catalizzatori. L'analisi di Tim Love, Investment Director, Emerging Markets Equities di GAM

 

È stato un anno discreto per le azioni dei mercati emergenti, fino al 27 giugno, con un rialzo del 4% in dollari. Non c’è niente di speciale da riferire, a parte che la Cina, che rappresenta il 30% dell’indice, nel periodo ha perso il 5%. Come sempre, la risposta nei mercati emergenti è sfaccettata ed eterogenea. È stato un buon anno? Rispetto al Dow in calo del 2% nello stesso periodo, diremmo di sì. Rispetto al Nasdaq, in crescita del 29% nello stesso periodo, no. Ci sono componenti dei mercati emergenti che sono state al passo con la crescita a un prezzo ragionevole trainata dall’AI nei Paesi sviluppati? La risposta è sì. Per esempio, Taiwan ha guadagnato il 19%, la Corea il 16%. Questi mercati hanno certamente beneficiato dell’accelerazione dell’intelligenza artificiale che ha fatto salire il Nasdaq e l’S&P. Tutto ruota attorno all’alpha, alla selezione dei titoli e all’asset allocation. A livello settoriale, è evidente la risalita dell’IT del 19%, ma i titoli value, come per esempio l’energia, sono saliti del 7% circa, qualche titolo industriale del 3%, i finanziari sono saliti del 7% con l’irripidimento della curva dei rendimenti, dunque sono rimasti indietro rispetto all’IT. Ma hanno fatto meglio delle componenti difensive e costose, come servizi di pubblica utilità, sanitario e beni di prima necessità, che sono scesi nel periodo.

Crediamo che ci siano molte opportunità per gli investitori che cercano un’esposizione nei mercati di frontiera, o nei titoli secondari. Vietnam, Argentina, Romania e qualche opportunità di rilocalizzazione nel Messico del Nord, rientrano in questo gruppo. Le opportunità secondarie in società con una governance migliore in India, con più liquidità, sono eccellenti. Crediamo che la biforcazione delle catene di distribuzione mondiali, la biforcazione tra le democrazie liberali d’Occidente e le economie pianificate non sia necessariamente un fattore positivo o negativo, ma è un fattore da considerare. Le catene di distribuzione stanno cercando di contenere i rischi e il fenomeno della rilocalizzazione, o nearshoring, è un tema che interesserà molto gli investitori occidentali nei prossimi 5 o 10 anni.

Per quanto riguarda le previsioni a breve e medio termine, i mercati emergenti, nel complesso, sono sottovalutati, sottopesati e trascurati dagli investitori, ed è sempre stato così. Nel 2004-2008 i mercati emergenti hanno riportato performance assai superiori a quelle dei mercati sviluppati. Da allora ci sono stati 15 anni di movimenti altalenanti e svalutazioni, che da un certo punto di vista non ha molto senso poiché gli utili hanno continuato a salire, e gli utili previsti del 16-18% per i mercati emergenti non sono male e potrebbero giustificare una rivalutazione da un PE di 9,5 del portafoglio o intorno a 11 per l’indice. Con un ROE oltre il 15% e un rendimento da dividendi ben coperto di 3,5, in un gruppo di Paesi in cui i primi 8 su 10 oggi sono investment grade, a differenza del 2004, quando erano solamente sei, o talvolta anche cinque. È una situazione diversa. Gli utili sono più robusti, correlati a segmenti più moderni come l’intelligenza artificiale, la robotica o la sicurezza informatica o la consulenza, con servizi a più valore aggiunto, più uniformi, più efficienti, in grado di competere con i mercati sviluppati e maggiormente integrati, con le catene di distribuzione dei Paesi sviluppati. In tal senso, perché un’asset class nei mercati emergenti non cresce per 15 anni, come invece è accaduto nei mercati sviluppati?

Crediamo che assisteremo a una profonda rivalutazione, come accadde nel 2004 quando continuò per quattro anni, con risultati migliori dei mercati sviluppati. In considerazione di tale scenario di lungo periodo, qual è il catalizzatore? Normalmente è correlato alla liquidità. Perché gli investitori dovrebbero puntare su un’asset class che viene percepita a più alto rischio? E la percezione la fa da padrone. La risposta è che, se la realtà è chiaramente, innegabilmente, evidentemente positiva sul fronte degli utili, con valutazioni convenienti e sottopesata, allora i flussi di denaro, sia passivi che attivi, inizieranno a tornare e la svalutazione cesserà. In tal senso, il catalizzatore sarebbe un picco del dollaro, certamente un picco nei tassi di interesse e il riconoscimento dello status di investment grade, l’interesse cross-asset, per valore, crescita e rendimento, a livello locale e della domanda locale, fattori che vengono completamente ignorati, con la nascita di numerosi fondi pensione, con molti mercati emergenti che si vanno stabilizzando, e se gli investitori esteri se ne vanno, la domanda arriverà dall’interno. E poi c’è la liquidità, gli investimenti passivi esteri peseranno meno di quelli interni, istituzionali a più lungo termine. È ciò che sta accadendo in molti di questi mercati. Un cuscinetto di liquidità, la confluenza dell’attività secolare e ciclica, delle valutazioni. Nel complesso, sommando tutti questi fattori, crediamo che lo scenario a più lungo termine sia incredibilmente positivo.

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