Skip to content

rimes

Perché i bond Usa non sono a rischio crack

Davvero, come ha scritto il Sole 24 Ore, “Rischio crack, bond Usa come quelli greci”? Il commento di Liturri

Sono passati undici giorni e i titoli di Stato Usa non sono ancora carta straccia.

Infatti è del 3 giugno il titolo in prima pagina del Sole 24 Ore “Rischio crack, bond Usa come quelli greci” e, per fortuna, di crack nemmeno l’ombra. Il decennale Usa continua ad oscillare tra 4,30% e 4,50%, le aste proseguono regolarmente e si conferma il ruolo di “rifugio sicuro” per uno dei titoli più scambiati al mondo. Anzi, proprio negli ultimi dieci giorni, siamo tornati a verificare una vecchia regola dei mercati: quando salgono gli indici azionari Usa, scendono i rendimenti dei Treasury.

Per i quali ovviamente non c’è alcun rischio, perché paragonare i bond Usa a quelli greci equivale al confronto tra un calabrone e un moscerino. In comune hanno solo le ali, ma le regole di volo sono completamente diverse.

“Non è un allarme, ma un segnale”, è stata l’affrettata precisazione alla fine dell’articolo. Tuttavia non è nemmeno un segnale, ammesso e non concesso che, dopo un titolo del genere, sia possibile non parlare di allarme.

Infatti per dimostrare la tesi del rischio crescente sui titoli pubblici Usa ci si basa sull’andamento del costo della polizza anti default, il cosiddetto CDS. Esso riflette il costo per assicurarsi contro un eventuale default del governo statunitense e un suo aumento indica una percezione di rischio maggiore da parte del mercato.

Il fatto che il Cds per il debito Usa sia su livelli vicini a quello di Grecia e Italia non ha alcun significato per tre essenziali e decisivi motivi: il mercato dei Cds sul debito Usa è meno liquido rispetto a quello di altri emittenti, il che rende quei prezzi poco significativi. Insomma si tratta di un mercato poco frequentato e, di conseguenza, i prezzi sono scarsamente segnaletici. Inoltre, gli Usa hanno una posizione unica grazie al dollaro come valuta di riserva globale. Ci perdoneranno i puristi, ma è come se fallisse il banco del Casinò, che fornisce le fiches.

Il sistema dollaro-Treasury resta saldamente al centro dei sistemi pagamenti mondiali e se proprio ci fosse qualcosa in grado di indebolire questo ruolo, è l’oro il candidato principale, non certamente l’euro che è stato pure recentemente scavalcato.

Infine, il rischio è legato a una forma di default tecnico legato al tetto al debito (debt ceiling) che non c’entra nulla con il default propriamente detto, cioè il mancato pagamento alla scadenza di interessi o capitale di un titolo.

Ed è esattamente questo il contesto all’interno del quale si inquadrano le parole di Scott Bessent, segretario al Tesoro Usa, pronunciate alla Cbs e che hanno ispirato il titolo in prima pagina del Financial Times di lunedì 2 giugno (“gli Usa non saranno mai insolventi sul loro debito”) che equivale a dire che il sole sorge a est e tramonta ad ovest. “Siamo in una situazione di allerta, ma non andremo a sbattere” ha aggiunto, sempre riferendosi all’ostacolo del tetto al debito.

Ogni anno in questi mesi (nel 2023, anche con l’amministrazione Biden ci fu una crisi molto seria, risoltasi sul filo di lana) c’è una disputa tra Congresso e il governo federale sull’ammontare totale del debito che il governo federale può emettere. Se il tetto non viene alzato o sospeso e il Tesoro esaurisce i fondi e il governo non può onorare tutti i suoi impegni finanziari (peraltro già approvati dal Congresso), portando a un potenziale default sui pagamenti del debito o su altre spese. Non è mai accaduto nulla di tutto ciò, perché alla ventiquattresima ora il Congresso regolarmente, dopo qualche giorno di rissa politica, sistema tutto.

È come se al Mef fosse impedita l’emissione di titoli pubblici per finanziare il fabbisogno, dopo che il Parlamento ha approvato la legge di bilancio che definisce quel fabbisogno. Uno strano corto circuito che esiste solo negli Usa.

Quello che non viene detto è che il tema del bilancio Usa e del previsto conseguente aumento del debito di circa 3.000 miliardi in dieci anni, su uno stock preesistente di circa 36.000 miliardi è già stato archiviato dagli investitori. È tutto già nei prezzi attuali di Bond e dollaro, come si usa dire. Il decennale Usa stenta a rientrare sotto il 4% e il dollaro si è leggermente svalutato, rispetto ad una situazione di estrema forza. Finita là. Perché si tratta di poca cosa al cospetto dell’aumento da 27.800 a 36.200 miliardi sotto l’amministrazione Biden, ben 8.400 miliardi in più in 4 anni.

A chi afferma che il “debito americano è percepito come qualcosa che scotta sempre più”, rispondiamo che se ci fosse qualcosa che scotta, allora avremmo dovuto scottarci già sotto l’amministrazione Biden. È il termometro che è rotto o sbagliato

Torna su