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Perché gli allarmismi sul Pil sono truffaldini

Che cosa mostrano gli ultimi dati sull'economia italiana e che cosa non dicono i profeti di sventura. L'analisi di Giuseppe Liturri

La Commissione Ue ha pubblicato l’aggiornamento delle previsioni economiche per il 2024-2025 e il quotidiano La Stampa ha titolato “Pil in calo, buco da 10 miliardi”. Riecheggiando in questo un post dell’onorevole Luigi Marattin su X. Cosa c’è di vero? Nulla. Se non, a scelta, un distorto uso dei dati piegati per la finalità, peraltro legittima, di propaganda politica, oppure una profonda ignoranza dell’ABC della finanza pubblica.

Cos’ha detto la Commissione? Nulla di particolarmente nuovo. La crescita economica continua a rallentare dappertutto nell’Eurozona, con la Germania fanalino di coda e l’Italia leggermente sopra la media. Per tutti i Paesi, le nuove proiezioni presentano delle limature al ribasso rispetto alle previsioni dello scorso autunno. Per esempio, la crescita dell’Italia scende da 0,9% a 0,7%. Non c’è nulla di nuovo, perché Bankitalia a fine gennaio aveva previsto 0,6% e l’Upb pochi giorni dopo lo 0,8%.

Non è nuovo nemmeno il circo mediatico. Infatti sono passate circa due settimane da quando l’ISTAT ha reso noto il dato sulla crescita del PIL nel quarto trimestre che ha sorpreso rispetto alle attese – facendo segnare un +0,2% sul trimestre precedente, un +0,5% sul quarto trimestre 2022 e un +0,7% 2023 su 2022 – e da allora siamo alla vana ricerca sui maggiori quotidiani nazionali di titoli e notizie in merito.

Il tema è stato a volte del tutto assente, anche dalle pagine interne; in altri sparuti casi, abbiamo dovuto sfogliare molte pagine prima di trovarne traccia. Unica eccezione la prima pagina del Sole 24 Ore di mercoledì 31 gennaio.

Poi per fortuna venerdì 2 febbraio ci ha pensato l’Ufficio Parlamentare di Bilancio a riaccendere i riflettori sull’argomento. E l’ha fatto riportando cifre favorevolmente sorprendenti per il 2024.

Eppure ricordiamo bene quel “Rallenta la crescita italiana”, in apertura di prima pagina del Corriere della Sera del 1 agosto. All’indomani del deludente dato (-0,4% sul trimestre precedente che però aveva chiuso a +0,6%) relativo alla crescita del PIL del secondo trimestre 2023.

Anche lo 0,6% diffuso da Banca d’Italia col bollettino di qualche settimana fa aveva scatenato la solita sequela di titoli (da “PIL fermo” del Sole a “Bankitalia taglia le stime di crescita” del Corriere) che evidenziavano la preoccupante differenza con la crescita del 1,2% che il Governo aveva inserito nella Nadef e su cui aveva impostato tutta la manovra. Fino a paventare l’idea di una manovra correttiva in estate.

In occasione del dato positivo del quarto trimestre invece nessun titolo di apertura. E questo spiega l’assenza dalla prima pagina di quotidiani come La Repubblica o La Stampa – il primo recentemente bollato come “giornale-partito” di opposizione da Giuliano Ferrara sul Foglio – o la prospettiva distorta offerta dal Corriere della Sera, dove campeggiava in prima un “vola il PIL in Spagna” con un’evidenza addirittura superiore a quella data dai maggiori quotidiani spagnoli.

Ebbene, chi diffonde allarmi ignora o finge di ignorare che proprio l’Upb ha fornito i dati che dimostrano che non c’è alcun allarme o significativo scostamento rispetto al quadro di finanza pubblica previsto con la Nadef di settembre scorso.

Perché non è alla crescita del PIL reale che bisogna guardare ma a quella nominale – cioè comprensiva dell’effetto aumento dei prezzi – per calcolare il deficit/PIL e il debito/PIL. E questo numero è inchiodato al 4,0% secondo l’Upb, contro il 4,1% della Nadef. Una differenza non significativa. Anche se la crescita reale è più bassa, il deflatore del PIL (che bisogna aggiungere al PIL reale per ottenere il PIL nominale) è salito dal 2,9% al 3,2% e i conti sono comunque in ordine, almeno nelle previsioni.

Secondo Bankitalia, l’onere medio del debito pubblico è attestato intorno al 3% con una vita media residua pari a 7,8 anni e quindi quel 4% di crescita del PIL è ben superiore al costo medio del debito e consente la stabilizzazione del debito/PIL anche con un disavanzo primario. Non lo diciamo noi, è matematica.

Invece sono diverse sono le chiavi di lettura del dato del quarto trimestre 2023 che vanno evidenziate. La prima è il confronto internazionale eseguito sia osservando l’ultimo trimestre che allargando la prospettiva alla ripresa post pandemica. Ed è proprio così che si ridimensiona la Spagna. Infatti ponendo pari a 100 il PIL del quarto trimestre 2019 (l’ultimo pre pandemico), l’Italia è cresciuta del 3,9%, la Spagna del 2,9%, la Francia del 1,7% e la Germania, fanalino di coda, dello 0,01%. Insomma la Spagna ha semplicemente fatto peggio di tutti negli anni peggiori della pandemia ed ora sta semplicemente recuperando, e ciononostante resta ampiamente dietro di noi.

È la differenza che passa tra guardare i dati del PIL con lo zoom o con il grandangolo.

Inoltre osservando i dati delle variazioni congiunturali di tutti i trimestri del 2023, l’Italia è quasi sempre tra i paesi dell’Eurozona che cresce relativamente di più. La Francia nell’ultimo trimestre ha fatto segnare variazione nulla e la Germania -0,3% rispetto al trimestre precedente. Anche rispetto al quarto trimestre 2022, l’Italia segna un +0,5%, la Francia +0,7% e la Germania -0,2%.

È indubbio che parliamo di variazioni comunque asfittiche ma, nella difficoltà generale, l’Italia ha mostrato un discreto dinamismo dei consumi delle famiglie – spinti dall’aumento dell’occupazione, delle retribuzioni contrattuali e da un discreto aumento dei redditi grazie al taglio del cuneo fiscale – e delle esportazioni nette. Gli investimenti hanno invece frenato.

Abbiamo sofferto molto meno rispetto alla Germania il contraccolpo della crisi dei prezzi energetici, o meglio, abbiamo subito trovato delle contromisure non disponibili per i tedeschi, come il gas algerino, azero e il GNL in arrivo nei nostri porti. Ci ha aiutato anche una maggiore diversificazione settoriale verso settori non particolarmente energivori, al contrario della chimica e dell’automotive tedesco.

Intendiamoci, l’industria ha arrancato ma decisamente meno rispetto alla Germania. E, soprattutto, hanno fornito un buon contributo le esportazioni e la bilancia commerciale non è più zavorrata dal costo dell’import di gas e petrolio a prezzi fuori controllo.

L’Upb per il 2024 prospetta uno scenario molto simile, con consumi delle famiglie in primo piano comunque soggetti a molta incertezza con l’export che continuerà ad aiutare.

Per il resto, l’Upb prima, e la Commissione ieri, hanno avvertito che l’andamento dell’economia nel 2024 sarà fortemente condizionato dalle variabili cosiddette esogene, cioè non controllabili, collegate all’andamento del commercio internazionale ed ai tanti focolai di tensione politica.

Ma a questo ci siamo ormai abituati e sappiamo che dovremo tenere a lungo le cinture di sicurezza allacciate e tenere lontani i profeti di sventura o i turisti dell’economia. Insiemi spesso sovrapponibili.

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