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Esselunga

Perché Esselunga non allunga?

Che cosa succede davvero a Esselunga. L'approfondimento di Mario Sassi, autore del Blog_notes sul lavoro

 

Una degli accadimenti che mi avevano lasciato abbastanza perplesso ai tempi dell’operazione Auchan da parte di Conad è stata la scarsa determinazione messa in campo sulla possibile espansione del Consorzio nella città di Milano. Pensavo fosse uno delle premesse della strategia alla base dell’acquisizione: entrare finalmente nella città dove la lotta per la leadership avrebbe avuto ben altri connotati. Conad ha però preferito girare al largo.

Ha ceduto ad altri l’onere di fronteggiare in casa Esselunga. Una ritirata, come si è scritto, imposta dagli equilibri interni o conseguente alle determinazioni dell’antitrust oppure una difficoltà intrinseca del Consorzio in una città così diversa dalle altre. Certo, Auchan era ormai in caduta e pretendeva ben altre priorità, ma tant’è. L’impressione esterna è stata questa.

Come ho già scritto il solco che separa la prima della classe a Milano e non solo dal resto delle insegne è ancora evidente. Ovviamente Esselunga non è solo Milano. I risultati 2022 lo confermano. L’azienda ha chiuso il 2022 con ricavi in aumento del 3,2% a 8,83 miliardi, con una accelerazione nel secondo semestre che indica un +6,7%. Completato il riassetto societario tutte le società del gruppo Esselunga sono interamente di proprietà di Marina Caprotti e della madre Giuliana Albera. In tempi di inflazione è fuorviante osservare fatturati e l’anno ormai alle spalle. I volumi di vendita hanno comunque sofferto. Esselunga dichiara un calo dell’1% contro una media del 3,4% della GDO. È però la media del pollo di Trilussa. Non tutti lamentano questo calo. L’ebitda è sceso a 501,4 milioni dai 689,7 del 2021. Ha pesato anche il costo dell’energia, quasi raddoppiato rispetto all’anno prima.

Per un milanese andare a Esselunga è comunque altra cosa che andare al supermercato. E il “supermercato” sono le altre insegne accumunate dal destino di assomigliarsi un po’ tutte. Credo come per altri nei rispettivi territori di insediamento. Qualcuno ha provato nel tempo ad insidiare Esselunga con proposte commerciali tarate su fasce particolari di consumatori ma la distanza da colmare è sempre stata troppo ampia e le risorse messe in campo dalla concorrenza tutto sommato abbastanza modeste.

Oggi sono forse LIDL e altri discount che danno filo da torcere ad Esselunga, pur con altri numeri e obiettivi, costringendo il leader a ricorrere ad un tatticismo esasperato, soprattutto nei PDV più grandi, che fa trasparire un affanno sconosciuto fino a qualche anno fa e che rischia di comprometterne l’unicità del profilo è il vantaggio conquistato in passato. Ecco questo è il punto su cui riflettere se non ci si vuole fermare ai comunicati stampa. Basta girare per i punti vendita per rendersi conto che più che farsi inseguire, innovando l’offerta e la sua relazione con il cliente, Esselunga sembra stia dedicandosi a inseguire altre formule rendendosi così sempre più simile agli inseguitori.

L’azienda di Pioltello è da tempo alla ricerca di una sua identità nella continuità in grado di confermare la qualità del passaggio generazionale. Ho qualche dubbio che ci stiano riuscendo. Resta ancora un passo avanti perché gli inseguitori sono alle prese con le loro difficoltà. Soprattutto di questi tempi.

Ci aveva provato a suo tempo Giuseppe Caprotti, figlio di Bernardo, a cambiarla, attualizzando obiettivi e strategia e abbiamo visto com’è finita. E ci ha provato, più recentemente Sami Kahale, uno dei migliori top manager in circolazione, quando ha cercato di metterla in condizione di affrontare, anticipandole, le nuove sfide. Per fare questo, però, la nuova proprietà avrebbe dovuto accettare di staccare il “pilota automatico” innestato dall’anziano leader proprio per consentire una rotta sicura e affrontare le nuove turbolenze del mercato modificando assetti e cultura interna e quindi creando tensioni ed errori inevitabili nelle fasi di cambiamento. La proprietà ha preferito la navigazione a vista affidandosi alla solida nomenclatura interna esperta di tattica ma non di strategia aziendale. Quella è sempre stata di pertinenza del “grande timoniere”. E quella qualità non è facile da ereditare.

Si costruisce giorno per giorno immettendo nuovi approcci e culture diverse integrandole con la notevole esperienza interna. Il contesto competitivo sta però cambiando. Nuovi competitor si stanno consolidando e, alle spalle della prima della classe per risultati, crescono altre realtà. Il tema non è tanto il sorpasso ancora lontano. Troppo forte il legame tra i consumatori tradizionali e l’insegna di Pioltello. E troppo forte l’aspettativa che crea Esselunga laddove annuncia di volersi insediare.

Il problema semmai è la capacità di cambiare tenendo la rotta pur in tempi di inflazione con azioni ragionate che non compromettano i margini, ma che trasmettano contemporaneamente una sensazione di leadership sicura all’intera squadra sulla coerenza della direzione di marcia. Milano è indubbiamente diversa dal resto del Paese. Per composizione sociale, consumi e differente capacità di spesa. Caprotti senior ne aveva compreso la specificità meglio di tutti cogliendone “conservatorismi” e desideri e accompagnando con attenzione e lungimiranza le richieste di cambiamento. E muovendosi con grande intelligenza e rapidità su location decisive lasciando agli espansionisti delle altre insegne poche briciole. La capacità di crescere replicando un modello di alta qualità, l’individuazione dei formati, la gestione della logistica e del personale ne hanno determinato il vantaggio competitivo. Ma quel vantaggio si va riducendo.

Sul piano politico e nel rapporto istituzionale Esselunga ha sempre marciato da sola. Non ha mai creduto più di tanto nell’associazionismo e, si è trovata, con questo Governo, un vantaggio relazionale notevole. A mio modesto parere la partnership con la Nazionale di calcio non nasce a caso. Inutile girarci intorno. Resta la convinzione che da soli i propri interessi siano meglio tutelati. Parafrasando la “Fattoria degli animali” di Orwell si può dire: le insegne sono tutte uguali ma alcune si sentono (o sono) più uguali delle altre. Il 2023 rischia di portare però con sé aumenti generalizzati dei listini che maschereranno l’andamento vero di molte insegne.

Ovviamente questo spingerà i clienti ad un nomadismo di acquisto molto più accentuato che in passato. E spingerà tutto le imprese della GDO ad un tatticismo esasperato fatto di sconti e promozioni per cercare di non perdere terreno. E questo rischia inevitabilmente di produrre inevitabili cambiamenti a strategie e priorità.

Vedremo chi ne uscirà perché, il 2023 si presenta favorevole per i fatturati di tutte le insegne spinti in sù dall’inflazione e quindi dall’aumento dei prezzi, ma a fine anno si conteranno i clienti vecchi e nuovi e i volumi di vendita. Perché l’inflazione, come ci ricorda Milton Friedman, è come una sbronza. “Se eccedi al momento sembra farti star bene. È il giorno dopo che ci si sente male”.

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