Tra star italiane e internazionali ha preso il via l’81esima edizione della Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia, appuntamento di rilevanza mondiale che però male s’intona con i numeri dell’export nostrano.
Infatti, secondo i dati riportati da Marco Gambaro, professore di Economia dei Media presso l’Università Statale di Milano, “l’export italiano di cinema, nonostante quello che credono anche molti addetti ai lavori è molto basso”.
COSA DICONO I DATI SULL’EXPORT DEL CINEMA ITALIANO
“L’interscambio con i nostri principali partner è quasi sempre molto negativo”, scrive Gambaro su X. “Ad esempio – spiega il professore – i biglietti di film italiani visti in Francia sono un quinto dei biglietti francesi venduti in Italia. (export e import). La Germania esporta in Italia il doppio dei biglietti di quelli che i nostri film vendono da loro”, così come accade anche con la Spagna.
I PAESI IN CUI ESPORTIAMO DI PIÙ E DI MENO
Il professore mostra poi una tabella con una rielaborazione del database Lumiere, nella quale viene considerato il quinquennio 2018-22 affinché i dati siano più stabili e meno influenzati da singoli titoli. “Nei periodi precedenti – afferma Gambaro – la situazione è simile”.
“Questa posizione dell’Italia è molto stabile – spiega il professore -. Gli Stati Uniti sono esclusi. Con loro l’interscambio è molto più negativo, ma lì la storia è più complessa da raccontare. Il nostro interscambio è abbastanza positivo con Polonia, Svizzera (per via del Canton Ticino), Grecia, Portogallo e Olanda. Ma significativamente negativo anche con Spagna, Belgio, Svezia e Danimarca”.
Il saldo commerciale dell’Italia rispetto a Regno Unito e Francia è particolarmente negativo, soprattutto a fronte del numero di biglietti di film importati da quegli stessi Paesi. Tuttavia, come osservato da Gambaro a Zapping di Radio1, “il Regno Unito è una storia particolare perché spesso alla Gran Bretagna sono appoggiate le produzioni internazionali statunitensi, quindi, in realtà, c’è uno sbilanciamento ancora maggiore”.
IL TOTALE DISINTERESSE DEL MINISTERO DELLA CULTURA
Tra i grandi produttori europei, quindi, osserva Gambaro, “l’Italia è largamente quello con minor propensione all’export (biglietti venduti all’estero su consumo totale interno)”. A Zapping ha infatti precisato che il nostro Paese ha una propensione all’export del 14% (cioè, oscillazioni a parte, vendiamo mediamente 10-11 milioni di biglietti all’anno), contro il 33% della Germania, il 31% della Francia e il 26% della Spagna.
“La capacità del nostro cinema di supportare il soft power è dunque molto ridotta, così come quella di fare da ambasciatore nel mondo dell’Italian way of life. Per fortuna il made in Italy ha altri strumenti di supporto”, afferma il professore, che aggiunge: “Eppure nei documenti pubblici la possibilità di soft power è una delle giustificazione degli ingenti finanziamenti pubblici al settore, anche se apparentemente al Ministero della cultura (Mibac) l’export cinematografico italiano non viene troppo analizzato e misurato”.
LE CAUSE
Ma quali sono le cause di numeri così deludenti? A Zapping Gambaro ha spiegato che: “Ci sono varie ragioni e tutte concorrono un po’. Da un certo punto di vista la capacità dell’amministrazione pubblica italiana di agire come promotore sui mercati internazionali è meno forte di quella degli altri Paesi. Dall’altro lato, il nostro cinema probabilmente è un po’ più autoreferenziale rispetto a quello degli altri Paesi ed è molto concentrato su un genere, la commedia, che è difficilmente esportabile perché è legata a temi nazionali”.
“In più, nel nostro cinema pesa abbastanza una componente forte di personaggi televisivi, che naturalmente in Italia hanno un punto di forza perché tutti li conoscono […] mentre all’estero questo vantaggio non ce l’hanno”.
Infine, “non sempre i produttori e l’industria italiana è orientata a fare prodotti che massimizzano il successo presso il pubblico. Il grande livello di finanziamento pubblico che c’è ha come effetto collaterale quello di disincentivare un po’ la presa di rischio. […] Il problema dei sussidi vale in tutte le industrie, ma nel cinema in particolare perché è un’industria dove in tutto il mondo c’è sempre una tensione ossessiva al successo e si perdono anche tante occasioni”, facendo scelte in cui si rischia meno.
Anche il regista Paolo Genovese, a inizio 2023, affermava: “Il ruolo importante dei finanziamenti pubblici statali è mantenere in vita la varietà dei prodotti cinematografici e dare la possibilità di produrre film che non rispondano solo a criteri commerciali, ma anche a criteri puramente artistici. Ma i finanziamenti devono essere mirati, non a pioggia, con capacità di leggere le sceneggiature e capirne le potenzialità artistiche”.
LA STRATEGIA DEL MINISTRO SANGIULIANO
Chissà se le parole di Gambaro saranno arrivate pure alle orecchie del ministro della Cultura Gennaro Sangiuliano, che ha recentemente sfilato sul red carpet del Lido di Venezia. Intanto, fino al mese scorso la sua strategia è andata completamente in senso contrario. Come scriveva a luglio Domani, “il decreto sugli sgravi è in ritardo, ma il contenuto ha creato agitazione nel settore cinematografico”.
Stando infatti a quanto anticipato, il ministero privilegerà “le storie agiografiche dell’identità nazionale, rigorosamente avallate da una commissione ad hoc del ministero […]. Film di patria e di famiglia, che avranno più facilmente gli sgravi fiscali a dispetto degli estrosi registi e autori esterofili, marchiati dal simbolo del progressismo”.
Insomma, non proprio come suggerito dal professore della Statale di Milano, ma coerente con quanto promesso dal ministro a inizio mandato, il quale dichiarando che la crisi del cinema sarebbe stata al centro del suo lavoro, aveva aggiunto: “Basta con i fondi dati solo ai film di sinistra. Bisogna riformare il fondo unico per lo spettacolo, il Fus, e riformare la burocrazia relativa alla raccolta e all’uso dei finanziamenti pubblici. Che non significa fare un passo indietro sul fronte intellettuale perché lo Stato è fondamentale quando si parla di cultura, ma cambiare la visione delle istituzioni pubbliche verso una mentalità più attiva, più intraprendente”…