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G20

Perché è un groviglio il dossier degli asset russi sequestrati

Come utilizzare le attività finanziarie russe sequestrate? Annunci pomposi, difficoltà pratiche e la proposta di Yellen. Ecco come si è parlato del dossier anche al G7 dei ministri dell'Economia e dei banchieri centrali a Stresa

 

A giudicare dalle notizie che arrivano da Stresa, dov’è in corso il G7 dei ministri dell’Economia e dei banchieri centrali, saranno i capi di governo a mettere una parola (forse) definitiva sulla sorte dei profitti e delle attività finanziarie russe sequestrate subito dopo l’inizio della guerra. Se ne parlerà a metà giugno nel resort dorato di Borgo Egnazia in Puglia.

Dopo mesi e mesi di discussioni e valutazioni, con gli Usa a fare la parte della lepre e la Ue e la Bce a fare la parte della tartaruga, le incertezze sono ancora tante, troppe.

Già il fatto che sia scomparso completamente dai radar il tema della possibile confisca della parte capitale è un elemento che dovrebbe far riflettere. Dopo tutti i pomposi annunci susseguitisi da quando Mario Draghi nel marzo 2022 sembrava avesse trovato il colpo di bacchetta magica per mettere in ginocchio la Russia, ormai non se ne parla proprio più. Ed è rimasto solo l’attonito ministro degli esteri di Kiev Dimitri Kuleba a ricordare ai leader della UE e del G7 che serve mettere le mani sui circa 200 miliardi di attività finanziarie sequestrate, e con i quattro spiccioli dei soli proventi che fruttano quei beni, a Kiev ci pagano a malapena la benzina dei carri armati per qualche mese.

Parliamo del topolino di circa 3 miliardi all’anno che è stato partorito finalmente dalla Ue qualche giorno fa dopo mesi di trattative. Si tratta dei proventi maturandi, a partire dal 15 febbraio scorso, sulle attività finanziarie detenute dal depositario centrale Euroclear con sede in Belgio. 191 miliardi di euro per i quali si stimano proventi per circa 3 miliardi annui, sui quali però Euroclear si è già riservata di trattenere una quota per tutelarsi da eventuali azioni legali dei russi. Secondo la decisione del Consiglio UE, il 90% di quei proventi sarà usato per acquistare armi da inviare in Ucraina e il 10% sarà destinato alla ricostruzione.

Questa decisione era già destinata al limbo in attesa del G7 di Stresa e con la disponibilità a ritenerla superata, qualora i ministri del G7 raggiungessero un’intesa dal respiro più ampio. Sul tavolo è infatti arrivata, da parte del segretario al Tesoro Usa Janet Yellen, una proposta molto più ambiziosa. Emettere da subito un mega bond “Ucraina” per circa 50 miliardi di dollari, il cui rimborso di interessi e capitale è garantito proprio da quei proventi rivenienti annualmente dagli asset russi.

Il vantaggio è quello di anticipare in un’unica soluzione, prima che un’eventuale presidenza Trump scompagini le carte, l’arrivo dei fondi nelle casse ucraine. Questo indubbio vantaggio, nasconde però molte incognite. Considerata la durata medio-lunga dei bond, sarà possibile mantenere sotto sequestro le attività russe così a lungo? Chi paga nel caso di indisponibilità di quei beni a garanzia e, in ogni caso, è legittimo vincolare quei proventi relativi a beni che non appartengono a chi emette il bond?

Come si vede, un groviglio inestricabile che è molto improbabile sarà risolto dai ministri riunitisi sulle rive del lago Maggiore e che calerà come una patata bollente sul tavolo dei leader tra poche settimane in Puglia

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