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Perché dire No ai referendum antistorici su licenziamenti, contratti e appalti

I referendum voluti dalla Cgil forniscono indirettamente la possibilità di costruire un blocco sociale per la modernizzazione delle relazioni di lavoro. Quindi cominciamo a costituire i comitati per il NO! Il Canto Libero di Sacconi

La Cassazione ha dato il via libera anche ai referendum abrogativi delle norme lavoristiche in materia di licenziamenti, contratti a termine, appalti.

L’iniziativa della Cgil, che annuncia una grande mobilitazione per il quorum, pone problemi nello stesso Partito Democratico che fu promotore del Jobs Act.

Suscita inoltre l’opposizione di tutte le associazioni d’impresa perché irrigidisce antistoricamente le norme sui licenziamenti contraendo la propensione ad assumere, scoraggia i contratti a termine che ora sono meno utilizzati ma potrebbero pur sempre servire di fronte alle nuove incertezze, penalizza anche gli appalti genuini che corrispondono al criterio della specializzazioni dei produttori (di beni e di servizi).

Anche se il fronte del no si limiterà, con ogni probabilità, a lasciare agli avversari l’onere della partecipazione, sarebbe un errore rinunciare a contrastare gli argomenti demagogici dei promotori.

I referendum costituiscono infatti l’occasione per far crescere una moderna cultura del lavoro che, nel tempo della rivoluzione tecnologica, ha bisogno non di politiche difensive ma di investimenti efficaci nelle competenze delle persone e di nuovi modelli di remunerazione premiale.

Non a caso, nello stesso 2025 la consultazione popolare si intreccerà con l’approvazione della legge sulla partecipazione dei lavoratori tanto voluta dalla Cisl e dal governo.

Vi sarà quindi l’opportunità di una plastica contrapposizione tra la logica del conflitto e quella della cooperazione tra capitale e lavoro.

E quindi la concreta possibilità di costruire un blocco sociale per la modernizzazione delle relazioni di lavoro.

Cominciamo a costituire i comitati per il NO!

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