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Draghi Quirinale

Perché Biden gongola per la Global minimum tax (e cosa sperano Italia e Francia)

G20 e Global minimum tax: fatti, numeri, commenti, analisi e scenari

 

G20: passa la tassa minima per i big dell’economia mondiale e c’è unità sull’obiettivo di vaccinare contro il Covid il 70% del mondo entro il 2022, ma le trattative sulla lotta al riscaldamento sono ancora tutte in salita: in base alle prime bozze del documento finale del summit, sarebbe stata addirittura cancellata la scadenza del 2050 per un mondo a emissioni zero

CHE COSA E’ LA GLOBAL MINIMUM TAX

La Global minimum tax (tassa minima di almeno il 15%) al centro dell’accordo di Roma è un’imposta che mira a garantire più equità per le multinazionali. Ovvero creare maggiore corrispondenza tra i Paesi in cui vengono realizzati gli introiti e quello in cui si pagano le tasse.

IL PRIMO PILASTRO DELLA GLOBAL MINIMUM TAX

Il primo dei due capisaldi riguarda la tassazione di circa cento multinazionali (con entrate superiori ai 20 miliardi di euro) che può avvenire anche negli Stati dove fanno profitti e non solo in quelli in cui hanno la residenza fiscale.

IL SECONDO PILASTRO DELLA GLOBAL MINIMUM TAX

Il secondo prevede che i governi dei Paesi nei quali svolgono attività multinazionali con almeno 750 milioni di fatturato possano applicare una tassa minima di almeno il 15%. A giugno la proposta sulla tassa minima è stata appoggiata dal G7 e ai primi di ottobre ha avuto il via libera da 136 Paesi sui 140 del Quadro Inclusivo Ocse/G20.

IL REPORT ISPI

La proposta americana di una tassa minima globale (minimum tax) per le multinazionali ha ottenuto negli scorsi mesi il via libera di 130 paesi, durante una riunione virtuale dell’Ocse. Anche Cina e India hanno approvato la misura nata per combattere l’elusione fiscale delle corporation che aveva già raccolto il consenso del G7, si legge in un report dell’Ispi: “La proposta del presidente USA Joe Biden – dopo quasi un decennio di negoziati destinati ad incontrare l’opposizione di Washington – si basa su due pilastri. Il primo sono regole precise sulla tassazione delle grandi multinazionali, con oltre 20 miliardi di dollari di fatturato e margini superiori al 10% dei ricavi: una parte dei loro utili, pari a circa il 20-30% dei profitti in eccesso rispetto a quel 10%, sarà tassata nei paesi in cui le società generano ricavi. Il secondo pilastro si applica alle imprese che hanno un fatturato superiore ai 750 milioni di dollari e prevede una tassazione degli utili pari ad almeno il 15%”.

CHI HA DETTO SI’ AL G20

L’intesa al G20 di Roma – ha rimarcato oggi La Stampa – è stata “resa possibile dall’adesione di Irlanda, Estonia e Ungheria, che per lungo tempo si erano opposte. Kenya, Nigeria, Pakistan e Sri Lanka non hanno aderito all’accordo, ma chi lo ha fatto rappresenta oltre il 90% dell’economia globale. L’introito previsto è pari ad almeno 60 miliardi di dollari solo per gli Usa”.

L’ANALISI LIBERISTA

“La scelta della «minimum tax» soddisfa sia le aspirazioni protezioniste degli Stati Uniti, da questo punto di vista poco cambiati nel passaggio da Donald Trump a Joe Biden, sia il conservatorismo di quei Paesi europei che non hanno alcuna intenzione di limitare il peso dello Stato sull’economia”, ha scritto il pensatore liberista Carlo Lottieri su Libero Quotidiano.

USA SODDISFATTI

Perché gli Stati Uniti sarebbero soddisfatti? “Perché le loro imprese avranno molto meno interesse a delocalizzare, e quindi riporteranno in patria molte attività; gli altri Paesi, egualmente, sperano di poter trarre un qualche beneficio, potendo spremere colossi come Amazon e Facebook per gli utili che realizzano nel mondo”, secondo Lottieri: “Nell’insieme s’ipotizza che questo potrebbe comportare maggiori entrate complessive, per l’insieme degli Stati, dell’ordine di oltre 120 miliardi di euro. Nel mirino, ovviamente, vi sono i cosiddetti «paradisi fiscali», ossia quei Paesi – dall’Irlanda all’Olanda, al Lussemburgo – che adottano aliquote di favore e, in tal modo, risultano attrattivi per quelle realtà che sono ovviamente orientate a ridurre i costi e, in tal modo, essere particolarmente competitive”.

CHE COSA SPERANO ITALIA E FRANCIA CON LA MINIMUM TAX

La decisione dei principali Paesi europei di accettare la «minimum tax» è comprensibile, secondo l’intellettuale liberista: “Per Francia e Italia, ma non solo, la concorrenza proveniente da realtà che tassano assai meno è difficile da fronteggiare. Certamente esse potrebbero imitare i sistemi fiscali meno esosi, ma questo esigerebbe una revisione dei propri bilanci (tagli di uscite e sprechi) che non sono in grado di fare”.

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