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Firpo

Perché Assonime e commercialisti abbracciano acriticamente la fuffa Esg?

Che cosa dicono e che cosa non dicono Assonime (associazione delle grandi imprese) e Consiglio nazionale dei dottori commercialisti su Esg e non solo. Il commento di Giuseppe Liturri

Non è una novità che talvolta il condannato simpatizzi per il boia. Gli psicologi l’hanno chiamata “sindrome di Stoccolma”.

Ma quando le vittime sono le imprese e l’aguzzino risiede a Bruxelles con il suo delirio iper regolatorio in nome del Green Deal, il caso è davvero clamoroso.

“Esg, imperativo strategico” ha titolato oggi a caratteri cubitali il quotidiano Italia Oggi, spiegando che “è questo l’imperativo strategico richiesto da stakeholders, investitori e cittadini che unitamente alle autorità di regolamentazione europea introducono normative sugli obblighi di sostenibilità per verificare l’impatto delle aziende sulla società e sull’ambiente”. Per poi proseguire con due pagine intere all’interno: “Report di sostenibilità sintetici e chiari da affiancare ai bilanci” e “Transizione Esg, Cda all’appello”.

Innanzitutto, vorremmo notare che a noi non risultano folle di “stakeholder, investitori e cittadini” che chiedono alcunché. Invece ci risultano autorità di regolamentazione europea in preda ad un delirio ideologico per il “green” e la parola Esg. Che invece negli Usa ormai si vergognano di usare (prima pagina del Wall Street Journal del 10 gennaio scorso).

Il primo titolo serve per presentare le linee guida di Assonime e il secondo per dare conto di un documento tradotto dal Consiglio Nazionale dei Dottori Commercialisti che fornisce le indicazioni per il consiglio di amministrazione.

Ora, comprendiamo tutto. Comprendiamo che si tratti di un’eccezionale occasione di business per plotoni di commercialisti e avvocati (soprattutto quelli organizzati in grandi studi e quelli sotto il cappello delle grandi società di consulenza internazionali). Comprendiamo che la corretta gestione del rischio aziendale e il rispetto delle norme siano aspetti cardine dell’attività di impresa e che quindi la sensibilizzazione verso certi temi debba essere sempre elevata.

Ma da qui, a spingersi ad adottare acriticamente la direttiva 2022/2464 (denominata Csrd, corporate sustainability reporting directive) di prossimo recepimento da parte del nostro Parlamento (la legge delega è al Senato, già approvata dalla Camera e poi dovranno arrivare i decreti legislativi) il passo è davvero enorme.

Assonime guidata dal direttore generale Stefano Firpo (nella foto) si spinge addirittura a fornire suggerimenti alle imprese quotate all’Euronext Growth che in teoria dovrebbero esserne escluse. Esg fa bene a tutti, a prescindere. Nemmeno mezza parola sul fatto che il bilancio 2025 delle grandi imprese italiane anche non quotate dovrà contenere piani, obiettivi, impegni, indicatori di performance, sistemi di misurazione per i fattori Esg. Costi quel che costi.

I commercialisti fanno sapere ai loro clienti che la transizione verso la sostenibilità offre opportunità di business in termini di “riduzione di costi operativi, resilienza della catena di fornitura e ottimizzazione della gestione dei rischi aziendali, compresi i rischi normativi, di reputazione e di mercato, ciò agevolando l’impresa nella conquista di nuove quote di mercato, garantendone la redditività e attraendo investitori”. Che sono esattamente le cose che gli imprenditori fanno ogni giorno, da quando esistono le imprese. La scoperta dell’acqua calda. La gestione del rischio d’impresa – nell’ambito del legittimo e consentito dalle regole – è da sempre gestione della sostenibilità. Non serve che ce lo ricordi la Ue con la sua iper produzione regolatoria.

L’attività d’impresa è già rispettare i diritti dei lavoratori e le norme che li regolano, è fare un uso efficiente delle fonti energetiche, a prescindere che siano di fonte fossile o rinnovabile. È l’adozione di regole di governo societario che consentano efficacia ed efficienza dei processi decisionali ed un’adeguata gestione del rischio. Perché all’imprenditore non può essere richiesto di salvare il pianeta, in quanto il suo obiettivo è fare utili per i suoi azionisti, senza violare la legge. Altrimenti l’impresa chiude, illudendosi di aver (niente affatto) contribuito a ridurre la CO2 di una quantità pari a quella emessa in qualche ora in India (o Cina) da un solo reparto di una qualsiasi fabbrichetta che consuma carbone a tutto spiano.

Se ci fosse bisogno di ulteriori e più stringenti regole per tutelare lavoratori, minoranze sociali, l’uso efficiente delle risorse naturali, impedire la corruzione, che si scrivano delle norme specifiche.

Tanto ormai gli imprenditori sono allenati a passare le loro giornate con consulenti e avvocati, anziché dedicarsi ai prodotti e ai mercati.

Ma, per favore, sarebbe auspicabile piantarla con questa melliflua messa in scena, fatta di pagine di sogni che nessuno mai leggerà e che però qualcuno dovrà pur scrivere. A meno che non si affidi tutto a ChatGPT. Sarebbe il terreno ideale per un’applicazione proficua dell’intelligenza artificiale: un generatore random di frasi buoniste e politicamente corrette.

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